Category: Migranti

“Homeward Bound-Sulla strada di casa” un film con i ragazzi dell’Hotel House

Nella periferia sud di Porto Recanati (Mc) c’è un enorme ed isolato condominio in cui convivono quotidianamente oltre 2000 persone provenienti da 40 paesi diversi. È l’Hotel House, grattacielo di 17 piani e di circa 500 appartamenti ad ingresso unico. In questo edificio più del 90% della popolazione residente è di nazionalità straniera, 400 sono i minori.Al suo interno vive un quinto della popolazione del comune maceratese. Conosciuto principalmente per le attività illegali, per le situazioni di violenza e degrado sociale segnalate dalla cronaca “vero e proprio limbo dove è racchiuso un mondo intero”, il palazzo “manifesta segni di una crisi sociale e umana profonda, dovuti alla condizione di abbandono del luogo e dei suoi abitanti”. Negli ultimi anni, sempre più degradato da un punto di vista strutturale “fin quasi all’inagibilità” è stato soggetto, insieme alle persone che vi abitano, a stereotipi e pregiudizi di ogni genere, realtà di rilevo nel panorama europeo, ha attirato l’attenzione su di sé suscitando più volte clamore. Ma l’Hotel House è anche un interessantespazio sociale, “emana una vitalità e varietà di risorse endogene che attendono solo di essere attivate”. La pensa così Giorgio Cingolani, antropologo e regista, che, motivato dalle storie contenute in questo agglomerato multiculturale, microcosmo di esistenze, ha avviato un percorso cinematografico indirizzato agli adolescenti che vivono all’interno della struttura. Un progetto sociale e sperimentale che dopo un anno di incontri e lavoro ha portato alla realizzazione del film “Homeward Bound-Sulla strada di casa”.

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La frammentata ricerca di identità e il “continuo migrare”. Il laboratorio di cinema è stato reso possibile grazie a operatori video, fonici, operatori droni, docenti universitari ecc, che da novembre del 2013 fino al 30 maggio 2014, hanno lavorato gratuitamente al percorso formativo. Oltre ai ragazzi dell’Hotel House, sono stati coinvolti altri giovani italiani e straneri, che, sotto la guida dei professionisti, hanno affinato competenze cinematografiche ed elaborato una serie di racconti legati intimamente alle loro esperienze personali. Le narrazioni nate nel laboratorio hanno dato vita alla trama del film. Nella pellicola, gli adolescenti Naven, Zak, Yasin, Anta, Ferdaus, Shah Zib, Alamin e gli altri coetanei, tra realtà e finzione, rappresentano il loro mondo, raccontano se stessi, confidano i propri pensieri, gli ideali, parlano della difficile e frammentata ricerca di una “identità”. Le vicende, narrate nell’arco di un giorno, si intrecciano senza incrociarsi e il grattacielo spiega il regista “fa da sfondo alle storie, le condiziona e le porta fino alle più drammatiche conseguenze. Le amicizie si perdono nel tempo e nello spazio dell’Hotel House, che sembra estraneo, indifferente. Alla fine di questo giorno uno dei protagonistilascerà casa e amici per partire con la famiglia alla volta di un nuovo paese e cominciare una nuova vita. Una vita che è un continuo migrare”.

l lungometraggio, si legge nella presentazione “è un’opportunità per costruire un prodotto da lanciare sul mercato e dare un’occasione ai ragazzi di proporsi e raccontarsi in una forma artistica loro congeniale” ma soprattutto il fine è quello di farne oggetto di promozione sociale a sostegno di un “cambiamento significativo”. Per i costi di post-produzione e per distribuire la pellicola a livello internazionale è stata lanciata unacampagna di crowfunding,  la specificità di questa raccolta fondi, spiegano i promotori, è che una percentuale (almeno il 30%) delle donazioni ricevute “sarà devoluta alla risoluzione di emergenze strutturali del grattacielo che riguardano la sicurezza e la qualità della vita delle persone in un contesto che ormai appare in stato di avanzato degrado e di pericolo igienico sanitario rilevante”. In più il ricavato sarà condiviso anche con i ragazzi protagonisti del film. (slup)

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I rifugiati contribuiscono al bene comune attraverso la bellezza, il riciclo e l’arte – Roma lo Mostra @museiincomune

arte rifug 2Il Museo Carlo Bilotti di Roma ospiterà fino al 22 febbraio 2015 la mostra “L’Arte dei Rifugiati. Un contributo di Refugee ScArt alla città eterna”. Gli oggetti ed i grandi teli creati con materiali di riciclo, sono stati realizzati da un gruppo di rifugiati politici di area sub-sahariana, arrivati nella capitale in cerca di protezione. Lo scopo dell’esposizione è principalmente quello di “dare visibilità ad un progetto che si distingue, oltre che per l’impegno civico e l’aspetto umanitario, anche per la qualità ed originalità estetica delle realizzazioni, in cui la perizia artigianale diventa capacità progettuale, design ed espressione artistica”.

Plastica trasformata ad arte. Le opere sono state create con i rifiuti raccolti proprio nelle vie e nelle piazze su cui si affacciano i monumenti ritratti, i rifugiati hanno trasformato la plastica “in materia culturale altrimenti apprezzabile e usufruibile nel tempo”. In poco più di tre anni, con il progetto “Refugee ScArt” della Spiral Foundation, 10 tonnellate di “plasticaccia” romana, sono state trasformate in oggetti d’arte funzionali, colorati ed allegri “che sorprendono e commuovono per la cura e la fantasia della loro esecuzione”. L’intero ricavato di tutte le iniziative promosse dal 2011 ad oggi torna ai rifugiati, che a loro volta, aiutano altre persone che ne hanno bisogno, devolvendone una parte al Poliambulatorio mobile di Castel Volturno.

Foto: www.refugeescart.org

Foto: www.refugeescart.org

“Contribuire al bene comune”. Su di loro lo scrittore Erri De Luca ha detto: “arrivati da lontano, spaesati e senza conoscere la nostra società, essi riescono a dare scopo e dignità alle loro mani buone a tutto ricavando valore dall’ultimo stadio della merce. Essi sanno scoprire immediatamente un nostro punto debole in cui può essere prezioso il loro aiuto, e si inventano un modo per trasformare una nostra debolezza, i nostri scarti, in un reddito per loro ed un aiuto per noi. Grazie a Refugee ScArt i vuoti a perdere diventano pieni a rendere”.  I rifugiati che arrivano in Italia in cerca di protezione, si legge nel progetto, possono “contribuire al bene comune, supportare se stessi e le loro famiglie in Africa e aiutare altri e creare bellezza ringraziando la città che li ha accolti”. (slup)

 

Fonte: Redattore sociale

“Plural+Youth video festival” pensieri, esperienze, opinioni giovanili sui temi della migrazione

videoSe vi piace realizzare video e siete interessati al fenomeno della migrazione e a tutte le problematiche e opportunità a esso legate, allora potete partecipare al “Plural+Youth Video Festival”. Il concorso è aperto a tutti i giovani (9 – 25 anni) e per parteciparvi basta proporre un breve video (durata massima di 5 minuti) che esprima pensieri, esperienze, interrogativi, suggerimenti e opinioni giovanili sui temi della migrazione, della diversità, dell’inclusione sociale. I filmati potranno essere di qualsiasi genere (animazione, documentario, commedia, video musicale …) e lingua purché sottotitolati in inglese. Il vincitore di ognuna delle categorie in gara (9-12 anni; 13-17 anni; 18-25 anni) riceverà un premio in denaro da 1.000 dollari. Scadenza iscrizione: 27 giugno 2014.
Maggiori informazioni: www.scambieuropei.com 

Fonte: Redattore sociale

Roma, una rassegna di arti performative sulle migrazioni

imageBlack Reality – Rassegna di arti performative sulle migrazioni

Il progetto Black Reality, che verrà presentato al Teatro Vascello di Roma dal 13 al 18 maggio,vuole rappresentare esperienze e testimonianze, le imprese di tutti coloro che affrontano un viaggio di migrazione verso un occidente “civilizzato”. Vuole raccontare la vita quotidiana di scontro e di integrazione di chi cerca una nuova cittadinanza attraverso il teatro, musica e il cinema.  I migranti sono qui importanti testimoni e soprattutto protagonisti del processo creativo degli spettacoli, frutto di esperienze laboratoriali. Nella stagione 2013-2014 Black Reality, nato nel 2011 come spettacolo, diviene una rassegna di arti tra teatro, musica, cinema, documentari e incontri.

“Lampedusa 366”: opera d’arte collettiva in ricordo delle vittime del naufragio

A Lampedusa il 3 ottobre del 2013 hanno perso la vita 366 persone: donne, uomini, bambini. Alle vittime di quel naufragio a largo dell’isola dei Conigli è dedicata l’installazione partecipata “Lampedusa 366” che sarà inaugurata alla presenza di Giusi Nicolini (sindaco di Lampedusa), il prossimo 5 aprile alle ore 11 presso gli spazi del Museo Ettore Guatelli di Ozzano Taro Collecchio (PR). Quello di sabato è il primo di una serie di appuntamenti previsti nell’ambito del progetto “Svolte” avviato nel 2014, con l’intento di proporre programmi e progetti “con un messaggio positivo, specie in un momento critico come quello attuale, prendendo spunto dalle storie raccolte dall’associazione Mammatrovalavoro di persone che hanno deciso di poter dare una svolta in positivo alla loro vita”.  L’installazione, che prende il nome dal numero delle vittime del naufragio, è composta da 366 punti posti nel grande prato di fronte al museo: 366 paia di scarpe di uomini, donne, bambini annodate attraverso i loro laccetti. Hanno partecipato cittadini, enti, istituzioni e circoli culturali del parmense. “Nella vita e nella storia ci sono svolte che, individualmente o storicamente, hanno determinato un cambiamento di percorso” dice Mario Turci, direttore della Fondazione Museo Ettore Guatelli: “Con Lampedusa 366, ci siamo posti come obiettivo quello di realizzare un’opera partecipata attraverso la donazione di un paio di scarpe, in modo che le persone partecipassero attivamente alla realizzazione quale segno di una memoria collettiva” in ricordo della più grande strage dell’immigrazione sulle coste italiane. Il progetto è stato promosso oltre che dalla Fondazione Museo Ettore Guatelli, dal Comune di Collecchio (Pr), e da Coop Consumatori nordest. La campagna che ha dato il via alla raccolta di oggetti è stata denominata “Le mie scarpe per non dimenticare. (slup)

Fonte Redattore sociale