Category: Bacheca viaggiatori

La street art e i canti di Dante

140 campane per la raccolta del vetro trasformate in arte, oltre 100 artisti coinvolti e 3 periferie romane (Viale Gregorio VII, Torpignattara, Centocelle): se questi sono i numeri GAU – Gallerie d’Arte Urbana, il progetto de La Città Ideale si prepara a ripartire con la sua quinta edizione dal 19 al 21 novembre 2021, portando i canti dell’inferno di  Dante su 34 campane per la raccolta differenziata del vetro nel quartiere Aurelio, con la direzione artistica di Alessandra Muschella e le firme di Moby Dick, Giusy Guerriero, Dez, Marta Quercioli, Zara Kiafar, Tito, Violetta Carpino, Kiddo, DesX, Yest, Er Pinto, Olives, Lola Poleggi, Kenji, BloodPurple, Lady Nina, Orgh, Teddy Killer, Valerio Paolucci, Wuarky, Karma Factory, Muges147, Maudit, Hoek, Alessandra Carloni, Cipstrega, Molecole, Korvo, Alekos Reize, Gojo.

Dez canto 3

Oltre il gusto gotico di Gustave Dorè, nel 2021 è la street art di GAU – Gallerie d’Arte Urbana a raccontare Dante e la sua Commedia, con un obiettivo: portare 34 canti danteschi, attualizzati e rivisitati in chiave contemporanea, nella quotidianità dei passanti, in attesa alla fermata dell’autobus, nella routine giornaliera del via vai cittadino, ma anche ai bambini e ai ragazzi che escono dalle scuole e così via.

Korvo canto 30-31

Dal 19 al 21 novembre, il quartiere Aurelio si trasforma così in un laboratorio di arte urbana a cielo aperto, che – da Piazza Irnerio a Via Boccea, passando per Circonvallazione Aurelia e Circonvallazione Cornelia e proseguendo su Via Mattia Battistini – ridisegna il profilo del quartiere con le opere di più di 30 artisti. A ognuno di loro un canto dell’inferno dantesco e una campana, per ricordare, nell’anno di Dante, al di fuori delle aule, dei luoghi istituzionali e delle università, quanto il sommo poeta fosse un rivoluzionario, un outsider, una mente libera, e raccontasse un grande sogno: un’Italia idealecome ideale è la città che da 5 anni sta costruendo, con le sue progettualità diffuse, La Città Ideale. 

Torna il TreeArt Festival: natura e arte strumenti generativi di incontro e relazione

Cultura, arte, divulgazione scientifica e sostenibilità saranno al centro dell’innovativo TreeArt Festival, che torna nella suggestiva cornice di Buttrio, località in provincia di Udine, dal 23 al 26 settembre, con la sua seconda edizione. L’evento, che avrà luogo presso la settecentesca Villa Florio e all’interno del suo secolare parco botanico, è organizzato dal Comune di Buttrio con i partner Giant Trees Foundation, per lo sviluppo delle iniziative scientifiche, e Opificio 330 per le iniziative artistico-culturali. Una manifestazione in cui artisti, scienziati e divulgatori celebrano una visione della natura come “strumento generativo” di incontro e di relazione, con una ricca proposta di dibattiti, incontri e performance, ma anche momenti esperienziali en plein air, mostre d’arte e concerti. Un festival nel segno della sostenibilità, nato lo scorso anno per diffondere e ampliare la sensibilità green facendo dell’albero, del suo ciclo di vita, della metamorfosi e l’utilizzo dopo la sua morte, metafora di un sistema di vita sostenibile e partecipato.

Durante il TreeArt Festival, Villa di Toppo Florio sarà soprattutto il palcoscenico naturale per le gigantesche installazioni del prestigioso artista francese Christian Lapie, che vanta installazioni in ogni parte del mondo, in particolare Giappone, Canada e Stati Uniti. Lapie approda per la prima volta in assoluto in Italia proprio in occasione del TreeArt Festival di Buttrio con l’esposizione delle sue monumentali opere lignee che resteranno visitabili fino al 24 di ottobre prossimo. L’artista d’oltralpe ha iniziato a lavorare il legno in grande formato nella foresta amazzonica proseguendo nel tempo la produzione di questa tipologia di opere che sono ormai divenute il leit motiv della sua creazione artistica recente. I suoi lavori mettono in discussione la nostra memoria individuale e collettiva. Sono installazioni di figure spettrali che nascono da luoghi scelti, intrisi di storia. Qualunque sia il continente, queste figure senza volti, monumentali e potenti, interrogano e destabilizzano.

©benoitpelletier

La meravigliosa poesia delle sue creazioni nasce proprio dalla trasformazione dell’albero, sposando perfettamente il tema portante di questa edizione del Festival friulano, che indaga sulle molteplici opportunità della sua metamorfosi. Lapie rigenera l’albero, lo scolpisce e talvolta carbonizza i tronchi imponenti fino a renderli personaggi epici e magnetici. Sono delle forme antiche, primordiali e dinamiche che animano le memorie di ognuno di noi e ci accompagnano verso un cammino dal destino imprevedibile. All’artista di fama internazionale sarà dedicata una personale all’interno degli spazi di Villa di Toppo Florio mentre nel parco all’esterno della dimora storica troneggerà un’opera di oltre sei metri di altezza, per 2,5 tonnellate di peso, che verrà lasciata dall’artista in modo permanente per contribuire alla creazione di un museo contemporaneo a cielo aperto. Les secrets en equilibrio, l’opera scelta da Lapie, è formata da due sculture «dritte e protettrici – come spiega lui stesso– che chiamano a sé, hanno la forza dell’attrazione, generano aggregazione».

Danza, teatro e arte. La magia del “Festival Sudamericana 2021”

Far conoscere e valorizzare la cultura latina-sudamericana in tutte le sue coinvolgenti sfaccettature, attraverso l’espressività e l’intensità dell’opera poetica, la dinamicità partecipativa della danza e del teatro, la magia evocativa della musica, lo sguardo infinito dell’arte. Questo l’obiettivo del Festival Sudamericana di San Ginesio (MC), un progetto artistico realizzato dall’Associazione Culturale “San Ginesio” e dal Centro di Lettura “Arturo Piatti” di Ripe San Ginesio (MC). La manifestazione dedicata al mondo latino è nata nell’agosto del 2013, questa nona edizione, sarà esclusivamente on line, sulla pagina facebook Festival Sudamericana.

Tanti gli ospiti della manifestazione: Quinteto Respiro (musica), Matteo Aringoli e Olha Voloshyn (danza), Ensemble Mariposa (musica), Xavier Oquendo Troncoso (poesia), Paura Rodríguez Leytón (poesia), Juan Manuel Acosta e Soledad Chaves (danza), Maria Fernanda Barbaresco – La f del Tango in Trio (musica – teatro – canto), Marina Cedro (musica – canto), Carlos Habiague (musica – canto), Norah Zapata-Prill (poesia), Giovanna Rivero (letteratura), Andrea Muriel (poesia), Jennifer Cabrera Fernandez (musica – canto – danza), Duo Juan Rivero e Gilberto Pereyra (musica), Cristiano Schiavolini (arte – illustrazione), Giovanna Iorio (arte visiva – sonora), Astra Lanz – Cristiano Schiavolini e Nahars Piano Trio – in collaborazione con FORART – con lo spettacolo “GIUS(TO) BORGES” organizzato da Appassionata – Associazione Musicale di Macerata (teatro – poesia – illustrazione – musica).

Evento organizzato dagli operatori culturali Rita Bompadre e Matteo Marangoni. Per ulteriori informazioni: 340 6657356 – associazioneculturalesanginesio@hotmail.it

(Slup/Sabrina Lupacchini)

Nasce RoSaVintART: l’usato dalle Piazze alle Gallerie d’Arte

Domenica 15 dicembre 2019, la Galleria “New Spazio M-Arte” di Marina di Altidona (FM) ha ospitato #RoSaVintArt, l’evento “Swap Vintage Glamour” che porta nelle Gallerie d’Arte gli abiti usati : “Per dare valore al vissuto e inseguire sogni

INVESTIRE SU CREATIVITA’ E STORIE

C’è stato un tempo in cui indossare abiti usati era sinonimo di povertà, oggi è sinonimo di un cambio di “tendenza”. Il vintage ultimamente non conosce sosta, continua a crescere, diventa qualcosa di più profondo: la ricerca di un capo, di uno stile oltre le imposizioni delle mode, di una storia a cui poter affidare un sogno o una serata particolare. È questo il paradosso che hanno voluto muovere le ideatrici di RoSaVintArt “Swap Vintage Galmour” (Roberta Fonsato e Sabrina Lupacchini RoSaVida Produzioni) portando il baratto delle “cose vissute” dalle piazze ai luoghi deputati all’arte, ossia nelle Gallerie contemporanee. “Perché – spiegano – sono stati la ‘cornice’ entro i quali abbiamo attraversato il mondo”. Lo scambio “artistico-creativo” si è tenuto domenica 15 dicembre presso la Galleria “New Spazio M-Arte” di Marco Monaldi a Marina di Altidona (FM). Non solo vestiti, ma accessori, libri e oggetti vari, saranno i protagonisti di un momento, soprattutto di incontro, che punta sulla qualità della proposta.

LA MODA È PER TUTTI LO STILE È DI POCHI

“Pensiamo che l’abito sia qualcosa di più profondo ed intimo, non semplicemente un indumento da usare ma qualcosa da valorizzare, che ci valorizza” spiegano le artiste, che nella vita hanno coniugato il desiderio della ricerca sociale a quello dell’estetica. “L’abito è intimamente condiviso con la nostra identità, la nostra essenza. Ricercare nell’usato questa poetica è un po’ come un viaggio nella nostra storia. Gli abiti arrivano da ogni dove, ma soprattutto da mille esperienze diverse, e come scrive il poeta cileno Pablo Neruda ci confessano di aver vissuto. Indossati per chissà quali incontri fugaci, galanti, indimenticabili, stanno lì a ricordarci chi siamo, chi siamo stati, chi vogliamo esserePer questo non sono mai scontati, mai uguali. Alcuni ci fanno osare altri ci inducono a cambiare. Vogliamo proporre un nuovo ‘modello’ di vita, cucito su misura su quanti posseggono quel quid in più, per coglierne l’essenza. Siamo convinte che se la moda è per tutti, lo stile è di pochi”.

Durante l’evento sono stati presentati i primi 5 pezzi della collezione #RoSaVintArt. Abiti che avendo avuto una storia particolare, sono stati scelti e trasformati in vere e proprie opere d’arte. Una serie con i seguenti titoliUn giorno d’autunno a Lisbona; E se t’incontrassi ora?; Il tocco dell’ovest; Terrazze possibili; Nulla se non l’istante.

“L’input di questa prima collezione ci è  stato dato da una persona (che vuole rimanere anonima) e che ci ha chiesto di realizzare  un’opera d’arte con un importante abito vintage. Nasce così l’idea della collezione RoSaVintart e nasce la prima opera d’arte “Un giorno d’autunno a Lisbona”, che ha già il suo proprietario, o meglio “Custode”, come preferiamo chiamarlo noi.” Gli abiti “incastonati” in cornici, possono abitare luoghi o possono “scendere” dalla cornice e abitare corpo….

Il Centro culturale in Val di Susa: ponte tra realtà e sogno

A Chianocco, in Val di Susa, a una quarantina di km da Torino, sta sorgendo il nuovo centro culturale e didattico dell’associazione sportiva dilettantistica NAD. Il progetto, sicuramente unico nel suo genere, risulta essere decisamente all’avanguardia da numerosi punti di vista.Primo tra tutti perché è un progetto portato avanti da un gruppo di persone che condividono un obiettivo comune legato alla consapevolezza corporea ed ecologica e poi perché la costruzione, pur nel rispetto di tutti i vincoli e normative edilizie, è fatta secondo i principi della bioarchitettura, utilizzando materiali naturali come legno, paglia e terra cruda.

Ce ne parla, Antonella Usai, presidente dell’Associazione Nad, nonché ideatrice e “anima” portante del progetto

Antonella Usai

Qual è stata la genesi del progetto che nasce in seno all’associazione NAD, di cui sei stata tra le fondatrici?
L’Associazione NAD (Nascere alla Danza) ha tra i suoi obiettivi principali quello di divulgare la conoscenza della danza e delle discipline corporee ad essa legate come lo yoga e le arti marziali ma la proposta che facciamo da anni ai nostri soci è culturale a 360 gradi in quanto crediamo che la cultura vera non possa prescindere dalla interdisciplinarietà.

Chi danza deve conoscere non solo il funzionamento muscolare e articolare del proprio corpo ma tutto ciò che contribuisce a far sì che questo corpo sia armonico. C’è un legame indissolubile tra il nostro corpo e quello che in India viene chiamata “Bhumi” ovvero il corpo della Terra. Per questo abbiamo sognato un centro immerso nella natura e fatto il più possibile con materiali ecocompatibili, perché crediamo profondamente che il rispetto verso l’essere umano e quello verso la natura siano da coltivare insieme.

Da quando circa due anni fa abbiamo acquistato la terra su cui sta sorgendo il centro e iniziato ad occuparcene, la cosa più bella è stato vedere il paesaggio trasformarsi da un campo semi abbandonato a un luogo vissuto e bello. Questo per noi vuol dire fare cultura nel senso vero del termine, cioè avere cura della Terra e di Noi. Siamo tutti molto emozionati immaginando che tra non molto potremo inaugurare il centro. Tutto questo sta richiedendo una grande tenacia e uno sforzo condiviso da parte di tutti i soci.

Nella Terra che abbiamo acquistato o meglio di cui siamo diventati custodi, abbiamo già realizzato un piccolo anfiteatro naturale. Quando ci arrivi è già uno spettacolo, una sorta di grande terrazza aperta sulla Valle di Susa e circondata dalle Alpi. I sedili sono costituiti dai muretti. Realizzare questa piccola grande opera è stata una soddisfazione immensa. All’inizio è stato complesso perché la maggior parte di noi non sapeva più come si costruisca un muretto a secco. Si stanno perdendo tradizioni civili e culturali e abbiamo un disperato bisogno invece di sentire che non tutto va perdendosi.

Il centro culturale

Cosa vedi ora e per il futuro del Centro?
Siamo molto contenti di vedere che un sogno comune si stia realizzando e siamo convinti che questo luogo offrirà un contributo importante alla vita culturale e sociale della Valle di Susa e a tutte le persone che vi circuiteranno. Per ora siamo già estremamente felici di ciò che sta mettendo in moto in termini di aumentata coscienza civile e partecipazione allargata e condivisa. Per il futuro ci auguriamo che un numero sempre crescente di persone possa trarre beneficio ma anche ispirazione dalla realizzazione di questo sogno e che altri progetti simili possano trovare la fiducia e il coraggio per essere.

Arte e sociale, come si fondono e sostengono per te e specificamente in questo progetto?
Da un lato forse il momento in cui ho messo più a fuoco la relazione tra l’arte e il sociale, è stato il momento in cui ho affrontato la tesi di laurea dedicata alla danza indiana e mi sono resa conto di quanto sia la direttrice della Accademia in cui mi sono diplomata sia le sue antesignane, avessero una profonda e radicata coscienza di queste due parole. Nella danza indiana l’aspetto sociale e l’aspetto religioso in origine erano intimamente legati. Penso spesso per esempio all’aneddoto di Marco Polo, quando ci dice che cosa incontra a Malabar, in India, raccontando che quando le offerte più importanti, le preghiere più elevate non valgono a risolvere il conflitto in una comunità, là interviene il ruolo dell’arte, il ruolo della danzatrice. Sono convinta che sia stato proprio a partire da questo tipo di visione e legandosi a questo tipo di speranza che Mrinalini Sarabhai, abbia fondato la Darpana Academy di Ahmedabad, dove io mi sono diplomata, che è un’Accademia dove l’arte e il sociale sono da sempre un tutt’uno.

Uno dei motivi per cui ho scelto la Darpana è stato proprio il fatto che all’interno dell’Accademia è presente il dipartimento delle “Arts for development”, dove il teatro, la danza e tutte le arti, vengono utilizzate per lo sviluppo ad esempio delle aree rurali sottosviluppate, o per lo sviluppo di una coscienza civile, o per l’emancipazione femminile.

Se guardo alla danza indiana da un punto di vista anche solo stilistico poi, (ormai sono quasi 20 anni di danza indiana, oltre i precedenti di danza contemporanea che ho alle spalle), mi viene da dire che la ricerca del gesto armonico o della voce armonica, del gesto bello con la B maiuscola, è una ricerca che non può non avere una ricaduta prima di tutto, sulla persona che danza, che fa arte, sulla persona che vede e di conseguenza, da quello che posso percepire anche dall’insegnamento e dalle performances che faccio, non può che non avere una ricaduta sul tessuto connettivo, con cui l’artista entra in relazione.

Una persona del pubblico che ha visto un mio spettacolo dal nome Shivoham di recente mi ha detto: “è uno spettacolo poetico – politico, perché c’è molta poesia, ma c’è molto sociale anche e c’è il tentativo di far vedere come questi aspetti siano connessi”. 

Io credo poi che un artista vero sia sempre, in qualche modo,  un rivoluzionario, perché deve fare un’opera di scavo talmente profondo dentro la propria anima e la propria essenza che non può prescindere da una rivoluzione al proprio interno. E fare rivoluzione al proprio interno vuol dire diventare portatori di un messaggio rivoluzionario anche verso l’esterno. A volte ci sono degli spettacoli che sono dichiaratamente sociali, altre volte non è dichiarato, ma il gesto è il gesto. Se quel corpo ha attraversato per arrivare a stare sulla scena o proporre quella particolare forma d’arte, quel tipo di rivoluzione, chiunque in qualche modo lo percepisce ed entra in risonanza con questo atto.

Ed ora vengo all’operazione della creazione del centro che stiamo portando avanti con l’Associazione NAD. Anche questa per me è un’operazione rivoluzionaria, a partire dal fatto che non siamo assolutamente più abituati ad opere collettive. Il risultato in quanto costruzione del Centro è assolutamente fantastico, ma ciò che è ancora più rivoluzionario per me è il processo attraverso cui stiamo arrivando a questo. È un processo di fiducia, coraggio, determinazione e forse una grande dose di testardaggine, perché è un progetto totalmente controcorrente. In una società che spinge fortemente verso l’individualismo, verso la protezione del proprio piccolo giardino, comprare una terra insieme e costruire un progetto comunitario, attraverso un’associazione, è già di per sé qualcosa di assolutamente utopico.

O rivoluzionario
O rivoluzionario! Penso che sia come quando metti su famiglia e decidi di mettere su casa, questo è molto simile, la differenza è che questa è una famiglia molto allargata, è la famiglia dei soci, che è una famiglia mobile, dove le persone entrano, si stabiliscono ma ne possono anche uscire. E’ una famiglia basata sulla fiducia, sulla progettualità, sul riconoscere obiettivi comuni, sul riconoscere anche  la possibilità che ci siano scontri e risoluzione dei conflitti, come in tutte le famiglie.
L’associazione è una forma meravigliosa ma anche molto difficile da abitare. Riconosco allo stesso momento che sia una delle forme sociali più forti, perchè se si sviluppa una coscienza allargata di un certo tipo, può avere davvero una lunga storia e quindi lasciare una bella eredità. Il fatto è che bisogna lavorare su questa coscienza allargata, su questa consapevolezza di essere parte  di qualche cosa che ci oltrepassa, che ci supera e che ci dovrebbe sopravvivere.

Mi ha colpito quando dicevi che una persona del pubblico ha definito quel tuo spettacolo poetico e politico e facevo un parallelo tra l’idea che il sociale dovrebbe essere già insito dentro l’arte, così come il sociale dovrebbe essere insito nel politico, quindi sono come dire realtà che dovrebbero viaggiare insieme, e ti chiedo: per te la verità è rivoluzionaria
(Sorride): c’è un termine sanscrito che è Sat,  traducibile con verità, ma  traducibile anche con la parola esperienza o realtà, quindi ti direi si, assolutamente. La cosa più rivoluzionaria è l’accettazione di Sat, che è quella con cui tutti noi facciamo più difficoltà a relazionarci. Non mi riferisco all’accettazione in senso di passività ovviamente.

Ti augureresti che questo progetto abbia come eredità Sat? Sarebbe un buon augurio, come eredità culturale, parlavi di eredità prima.
MMi piacerebbe molto che Sat si unisse alle altre due parole che vengono associate a Sat, che sono Cit e Ananda, che sono cioè, come nello spettacolo Shivoham viene spesso detto, una sorta di connubio, sempre presente, ma che sfugge alla nostra  mente, quando è piccola, quando non è aperta. L’arte ha questa capacità di aprire la mente, di far toccare, intuire la verità sotto l’apparenza, le tre parole che stanno insieme sono Sat-Cit-Ananda, cioè, Verità, Consapevolezza e Beatitudine e quindi sì, mi auguro che ci sia questo per il nuovo Centro, e non solo per il Centro, …per tutti noi. 

Un’ultima domanda. Quali sono gli appuntamenti dell’estate NAD che riguardano il Centro?
Questa estate come quella precedente e le prossime a venire i soci NAD saranno impegnati nel prendersi cura del Centro e della Terra. Abbiamo tanti piccoli grandi lavori da portare avanti come i muretti a secco, la cura delle piante, la sistemazione dei sentieri etc. Si tratta sempre comunque di momenti di Festa dove, alla fine, dopo la fatica, si suona, si danza, si parla e si condivide sempre del buon cibo. 
Poi abbiamo in programma due seminari intensivi dal titolo “Viaggio al Centro”. Saranno dei momenti dove ovviamente si potrà scoprire e vivere il Centro fisicamente ma anche interrogarci ed esplorare cosa voglia dire “Viaggiare al centro…” Viaggiare al centro sembrerebbe un ossimoro visto l’accostamento tra dinamismo e stabilità, moto e fissità. E’ un po’ come invitare a mettersi in viaggio senza allontanarsi, alla ricerca di quel centro di gravità permanente della nota canzone di Battiato. E poi il titolo di questi seminari è stato ispirato anche dal “Viaggio al centro della Terra“ di Jules Verne, uno scrittore che, pur avendo viaggiato pochissimo, è riuscito a comporre alcune tra le pagine più visionarie che siano mai state scritte. E i visionari sono anche loro dei rivoluzionari…vedono cose nuove e creano realtà nuove o forse semplicemente parallele. 

INFO: 
www.compagnianad.it
associazionenad@gmail.com
Fb: CompagniaNad

(Intervista a cura di Roberta Fonsato)