Scritti da voi – L’arte del “prendersi cura”: Frate Brontolone

Incontri umani sulle corsie degli ospedali: quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

Prosegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato anche e soprattutto sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.

Frate “Brontolone”. Dal racconto di Sabrina Girotti

frateParlare di lui non è facile ci vorrebbe un libro intero… Cominciamo  dall’aspetto fisico, basta chiudere gli occhi e immaginare un frate de “Il nome della rosa”, naso da gufo, occhi rotondi che errano a destra e a manca, grosso pancione. A causa di un grave ictus cerebrale viene ricoverato nel nostro reparto, non riesce a stare seduto senza appoggio perché il tronco non regge e naturalmente la stazione eretta è impossibile. È  ignaro della sua condizione, affetto da anasognosia cioè la mancata consapevolezza del suo stato, grave impedimento per la riabilitazione. La prima volta che lo vedo insieme alla dottoressa nel letto, si vergogna di farsi visitare e già scatta una profonda tenerezza.  Ironia della sorte per un malinteso tra i frati del convento dove risiedeva il fratello si ritrova ad indossare indumenti decisamente di almeno due taglie più piccole e quindi la pancia scoperta gli procurava un grosso disagio e invano cercava di tirarsi giù la maglia per coprirsi. Il primo giorno che lo porto in palestra mi dice convinto: “Tu mettimi in piedi e io cammino”. Perfetto come partenza niente male.

Ha dimenticato il movimento sia degli arti superiori che degli inferiori, è immobile ma è convinto che si muove. Ha terrore del sollevatore che serve per spostarlo e spalanca quei suoi occhi spaventati. Da subito comincio  a canzonarlo per sdrammatizzare ed è una tattica che mi porta ad ottenere un minimo di risultato. Mi fa pensare Pozzetto in un film di cui non ricordo il nome, che bambino si ritrova in un corpo da adulto. Seconda ondata di tenerezza quando disteso  sul lettino mi racconta che la notte non ha dormito perché il diavolo gli aveva avvolto un fil di ferro attorno alle gambe che stringeva tanto e poi gli animali che lo assalivano. Queste allucinazioni purtroppo continuano a essere presenti. Mi guarda e dice: “Perché non mi credete?!” E naturalmente come posso io contraddirlo?? Cerco solo di spiegargli che  gli altri non vedono gli animali che lo assalgono ma naturalmente a nulla valgono le mie spiegazioni. Dopo giorni e giorni e con molta fatica soprattutto da parte mia perché è pesantissimo riesce a stare seduto sul letto autonomamente e così una nuova visione del mondo. Osserva tutti e li classifica con aggettivi non consoni ad un frate.. Il suo sguardo si illumina quando vede Agata, la mia dolce collega, con lei è sempre complimentoso: “Se mi fossi sposato ti avrei scelto come moglie” e questa frase illumina anche lei. Credeva che io non ci fossi perché ero alle sue spalle e quando fingo di offendermi sorridendo timidamente afferma: “Mi sono messo in una situazione imbarazzante”.

Una mattina tutto fiero mi dice di essere la reincarnazione di Ulisse e che anche lui ha una visibile cicatrice sul ginocchio ed insiste per farmela vedere, ma naturalmente non c’è. Oppure all’improvviso declama pezzi dell’Odissea o passi della Bibbia. Mi racconta quando ha dovuto tenere a bada il piacere per le donne dicendo che non era stato affatto semplice. Ha sempre problemi con un bracciolo della carrozzina e vuole che lo infili io perché secondo lui sono l’unica a saperlo fare. Mi chiede come funziona, rispondo “come funzionano tante cose c’è un affare che va inserito in un foro” allora guarda Agata, con aria di complicità e le dice ”Sabrina fa la pornografica”.

Un giorno gli chiedo se posso mettergli l’olio di mandorlo sulla fronte perché ha delle pellicine e lui: “Certo che puoi però ho le pellicine sulla fronte perché il cervello lavora tanto, brucia, e quelle sono l ceneri”. Vorrei dirgli che un fondo di verità c’è, nel senso che una parte del  cervello è andata veramente in fumo ma non è il caso. Qualche volta se ne usciva anche con frasi veramente importanti: “Nella misura in cui accettiamo questa vita noi meritiamo l’altra” e qui io rimanevo muta! Per passare dalla posizione distesa sul lettino a quella seduta devo letteralmente sollevarlo e così gli dico di cingermi con le braccia e di tenermi forte e così lo metto seduto. Una volta la sua mano “scivolando”si è fermata sul mio sedere, glielo faccio notare e lui con aria tra il timido e il furbo mi racconta una barzelletta: “Un capoufficio al rientro dalle ferie della sua segretaria l’abbraccia felice, le mette le mani sul sedere esclamando che fino a quel momento non sapeva dove mettere le mani” e ride soddisfatto ….Alla mia collega l’apostrofa spesso con complimenti garbati ad esempio “rassicurante” a me “palpabile” e di fronte alla mia perplessità mi spiega che vuol dire sincera, solare… mah, io rimango con il dubbio.

Un giorno viene dicendomi che si sentivo il viso sporco così lo accompagna in bagno a lavarsi la faccia, lo aiuto e lui: “Hai fatto un’opera di carità potresti far parte della congregazione (non ricordo il nome) “come non emozionarsi?! Potrei continuare quasi all’infinito a parlare di lui ma arriva il momento del saluto, vado in camera, lui è sul letto, ha appena terminato di fare colazione e mi chiede se ha il viso e le labbra pulite, alla mia risposta affermativa esclama: “Allora ti posso baciare”. Mi avvicino e mi copre di bacetti a ripetizione sulla guancia, quelli che ti bagnano tutta, che mi dava mia nonna e mio padre e non vorresti più lavarti per non cancellare il segno, ma sai che quello rimane indelebile nel cuore. E ancora una volta non mi resta che “scappare” dalla camera perché le lacrime incominciano a scorrere. Grazie padre Brontolone.

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