I volti del fotografo Matthias Canapini raccontano “un’umanità spesso dimenticata”

 Daw Moe Phout, 90 anni. Ultima donna di etnia Paduang (donne giraffa). Foto: Matthias Canapini

Daw Moe Phout, 90 anni. Ultima donna di etnia Paduang (donne giraffa). Foto: Matthias Canapini

Dall’Italia fino in Vietnam e ritorno, un lungo viaggio via terra, fatto di innumerevoli passi e di km macinati in treni e autobus, per raccontare a grandi e bambini, attraverso immagini, parole e resoconti audio “Il volto dell’altro”. È questo il progetto nato nel mese di marzo del 2015 da un’idea di Matthias Canapini, giovane fotografo e scrittore fanese che quando può “viaggia qua e là in Italia e nel mondo, con macchina fotografica e quaderno degli appunti”, nei suoi vagabondaggi grazie all’aiuto di associazioni locali e internazionali incontrate durante il cammino (ActionAid, Parada Italia onlus, Aibi, le associazioni Apopo e Kharkiv Station), ha potuto documentare tantissime realtà: dalle mine antiuomo in Bosnia ai campi sfollati in Siria; dalle proteste di Gezi Park in Turchia al mondo delle adozioni in Kosovo. Ventiquattro anni, idee chiare e una spiccata sensibilità verso le tematiche sociali, Canapini non solo viaggia, nel frattempo racconta, allestendo mostre, partecipando a conferenze, scrivendo libri.

“Il volto dell’altro” è un viaggio iniziato il 10 giugno 2015: “ho attraversato i Balcani e l’Est Europa, raccontando Srebrenica e i ragazzi di strada a Bucarest – racconta Canapini – nel cui sottosuolo, tra lo sporco ed il buio delle fogne, vivono bambini, uomini, donne e anziani. Poi l’Ucraina e le tristi storie degli sfollati che ogni giorno continuano a scappare dal Donbass. La Russia a bordo della Transiberiana, la Cina da nord a sud”. Ad Hanoi in Vietnam, il fotografo raccoglie le testimonianze sugli effetti, tuttora ben visibili, dell’agente arancio, diossina altamente chimica lanciata dall’esercito statunitense durante il conflitto. In Cambogia, incontra il dramma delle mine antiuomo; in Thailandia visita il Centro “fabbricazione protesi” vicino la città di Chang Mai, costruito per dar supporto alle migliaia di vittime lungo i confini del paese. Raggiunge, sempre via terra il Nepal, dove racconta il post terremoto. “Ho tagliato metà mondo in aereo per tornare di corsa in Europa e realizzare l’ultimo lavoro di questo lungo progetto collettivo – prosegue – un reportage che racconta il dramma dei migranti in fuga da guerre e persecuzioni lungo le vene dei Balcani, a due passi da casa nostra”…. (sabrina lupacchini/slup)

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