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ALZHEIMER. Le paylist personali da fare ascoltare a familiari, amici e pazienti affetti da demenza

cialzheimersmusic.jpg.size.xxlarge.promoIn occasione della giornata mondiale dedicata il 21 settembre all’Alzheimer invitiamo coloro che hanno un familiare o un amico o un paziente in cura affetto da demenza, a richiedere una playlist personale, progettata su misura.

Uno o più musicisti, musicoterapeuti esperti, con lunga esperienza di lavoro con persone malate di Alzheimer, con la consulenza di geriatri e neurologi metteranno infatti a disposizione le proprie conoscenze per supportare ed accompagnare i Caregiver (famigliari, operatori, amici) nella loro quotidianità, progettando un ascolto di brani (Playlist) che sia legato al rilassamento, ai ricordi, all’attivazione motoria, al recupero cognitivo, alla personalità specifica dell’anziano.

Le Playlist saranno individuali, chi intende aderire dovrà per prima cosa inviare mail di disponibilità al progetto all’indirizzo roberto.bellavigna@gmail.com. Ricevuta risposta affermativa dal nostro staff si potranno inoltrare (….se possibile e se  si vorrà) i dati richiesti dai Moduli qui sotto scaricabili. Indicheremo con precisione quali moduli saranno da considerare per dare a noi la possibilità di studiare una sequenza di brani musicali  appropriata caso per caso. Le Playlist saranno, inviate via mail, o saranno utilizzabili sul servizio musicale online Spotify, o potranno essere caricate ed inviate via posta ordinaria su supporti di salvataggio (pennetta usb per essere riprodotte su lettori mp3 in cuffia, cd audio).

Non è richiesto nessun contributo o pagamento (se non eventualmente i costi  di invio postale e costi del supporto di memoria, chiavetta, cd, cassetta). Altresì chi vorrà in modo autonomo potrà a sua completa discrezione sostenere nell’importo che crede più appropriato i progetti presenti sul sito. Le vostre risposte (in forma assolutamente anonima) potranno essere utilizzate per compiere studi, esposizione dati ricerche in sede di convegni tematici Musica-malattia di Alzheimer. I nostri tempi di risposta saranno commisurati al numero delle richieste ricevute. Vi chiediamo pazienza, sostegno fattivo, scambio di info inerenti al tema, passione nel seguire il nostro progetto nel tempo e nelle sue varie fasi. Si richiederà ai partecipanti un feedback per capire come e quando l’intervento musicale abbia o meno avuto un riscontro positivo.

Nonostante il progressivo deterioramento delle sue facoltà cognitive e funzionali, in moltissimi casi il malato di Alzheimer è in grado di ricordare le melodie e spesso anche le parole di motivi che sono stati la colonna sonora della sua vita. Quale la spiegazione? Secondo gli esperti probabilmente il motivo è che la musica coinvolge l’individuo principalmente sul piano emozionale e non su quello cognitivo. E sono le emozioni a riportare a galla le parole di una canzone o il suono di uno strumento. “Il potere del suono che restituisce al demente ponti privilegiati di comunicazione” Brano tratto da “Musicoterapia con il malato di Alzheimer”- Autori vari,  pubblicato da: Alzheimer Italia e Progetto Anziani Musicoterapia

Un’ascolto quotidiano musicale rinforza la comunicazione, crea nuove attività, rilassa e predispone al dialogo, incrementa soluzioni positive. Questo è uno spazio in continuo aggiorneremo  lo rinnoveremo con la partecipazione di chi avrà desiderio di conoscere e approfondire.

Le SCHEDE da compilare per richiedere la PlaylistAlzheimer possono essere scaricate sul sito Lamusicadellavita.eu

L’arte del “prendersi cura”. Agnese …dolce Agnese

Incontri umani sulle corsie degli ospedali. Quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

Prosegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato anche e soprattutto sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.

“Agnese…dolce Agnese”. Dal racconto di Sabrina Girotti, terapista della riabilitazione

 

Illustrazione tratta dal libro "Una nonna tutta nuova"di Elisabeth Steinkellner, Michael Roher (Terre di Mezzo, 2012)

Illustrazione tratta dal libro “Una nonna tutta nuova”di Elisabeth Steinkellner, Michael Roher (Terre di Mezzo, 2012)

Appena la si vede, gli occhi non si incontrano, perché Agnese cammina sul suo girello flessa così tanto in avanti che gli occhi per forza sono rivolti verso terra. Ma quando si mette seduta allora sì che si possono incontrare e si rimane veramente sorpresi dai suoi occhi celesti e vispi. Emanano una luminosità ed una curiosità che nemmeno la veneranda età di 93 anni ha intaccato. L’aiuto a stendersi sul lettino e subito accusa dolori al collo,alla schiena. Quando poi guardo le sue gambe allora sì che provo paura…sono talmente rosse, edematose, la pelle così sottile, ho paura che solo toccandola possa rompere qualcosa. E allora decido di cominciare a “toccarla” partendo dal collo, ma se pur con estrema delicatezza, dove tocco tocco, è sempre un dolore. Poi come sempre succede, mi racconta fatti della sua vita passata e di quella presente, costellata da disagi, miseria, fatica, malattie e morti tragiche dei propri cari. Mentre racconta io mi domando come tanto dolore, tanta sofferenza, possono stare dentro un corpo così minuto . Così le chiedo come ha fatto a resistere nonostante i segni sul corpo sono chiari e lei molto dolcemente mi risponde che è tanto devota alla Madonna. Rimango in silenzio….

E’ molto riservata Agnese, preferisce stare da sola in camera a pregare, ma se sta insieme agli altri trova sempre parole di incoraggiamento. Sembra proprio che la bontà sia iscritta nel suo Dna. Tutti le vogliono bene e ammirano la sua dolcezza. Così quando un giorno mi confessa che non sopporta una signora ricoverata e sua figlia, rimango sorpresa, cerco di capirne il motivo e mi dice (sempre molto tranquillamente) che si danno delle arie, che sono prepotenti e la prepotenza lei proprio non la tollera. In effetti riguardo alle due donne molti la pensano come lei, ma è comunque gentile ed educata con loro solo, ma se può cerca di evitarle. Per giorni se ne sta in carrozzina perché il forte dolore alle gambe non la sorregge, poi lentamente piano piano riesce dopo alcuni giorni a fare alcuni passi con il deambulatore fino a che un giorno riesce a percorrere tutto il corridoio. Arrivata in fondo ai due lati, sono seduti pazienti e familiari, allora le dico:”immagina di essere una fotomodella che sta sfilando”, Agnese accenna a movimenti ancheggianti che procurano gli applausi spontanei da parte degli altri e un suo grande sorriso. Che gioia quando arriva il momento della dimissione e mi abbraccia e mi bacia, bagnandomi di saliva, che percepisco come fosse “l’acqua santa”.

Leggi gli altri incontri: Pietro, Vittoria, Angelo, Nebbiolina

L’arte del “prendersi cura”. Nebbiolina “farle capire che lei è importante”

Incontri umani sulle corsie degli ospedali

Quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

sole_mano1Prosegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato anche e soprattutto sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.

Dal racconto di Sabrina Girotti, terapista della riabilitazione

Nebbiolina viene ricoverata in seguito ad un intervento di protesi d’anca all’età di 68 anni. Suo marito era già ricoverato da noi da 2 settimane per il Morbo di Parkinson… Una donna che tiene gli occhi chiusi o rivolti verso il basso. Colore della pelle molto chiara,una buona struttura ossea ma senza “confini”, piatta, senza linee, curve,un corpo inespressivo. Mentre le parli lei ripete continuamente “si, si, si, si…”, le altre parole che pronuncia sono grazie e scusa. Dà l’impressione di voler essere invisibile, teme di dare fastidio, non esprime mai un suo pensiero ma per ogni cosa chiede consiglio a suo marito al quale si dedica completamente. Quando la vedo camminare nel corridoio titubante con la sua stampella, chiedendo scusa a tutti quelli che passano o che stanno seduti, provo una profonda tristezza. Le poche volte che cerco di farla parlare di sé lo fa solo riferendosi agli altri cioè a suo marito o a suo figlio. Mai che esprima un’opinione, un desiderio, se insisto riesco solo ad ottenere un timido sorriso. La sua totale mancanza di partecipazione a sé stessa mi crea disagio,vorrei tanto poter fare qualcosa. L’unica cosa che sono riuscita ad ottenere è quella di non farle dire più “grazie” mille volte in un’ora, dicendole che per ogni grazie mi doveva dare 5 euro. Naturalmente era uno scherzo, ma ha funzionato! La sua remissività viene fuori in maniera palese durante il lavoro di gruppo. Anche qui sempre ad occhi chiusi e assenza di movimento spontaneo,anche la stimolazione di movimenti attraverso la musica non cambia il suo “repertorio” corporeo. Mi viene voglia di scuoterla, di “svegliarla”, di farle capire che lei è importante, che la sua vita ha lo stesso valore di quella degli altri ma è veramente impenetrabile. I suoi timori si ripercuotono inevitabilmente nel recupero dell’arto protesizzato, quindi rimane da noi per sei settimane.

I giorni che precedono il giovedì grasso, con i pazienti costruiamo dei cappellini da indossare per l’evento, così per festeggiare il carnevale. Lei teneva in mano il cappellino ripetendo timidamente: “non l’ho fatto mai, non l’ho fatto mai”. Per convincerla ad indossarlo non è stato affatto semplice e pochi minuti dopo averlo fatto le è venuto un grosso dolore al fianco e si è bloccata, ho dovuto metterla a sedere!

E come sempre arriva il momento della dimissione,mi abbraccia, mi bacia e naturalmente mi dice mille volte grazie e il mio cuore si stringe. Un paio di settimane dopo mi capita di andarla a trovare a casa dove ora vi abita anche una badante. La trovo meglio, più serena, il viso rilassato e “colorito”. Mi accorgo che ha lo smalto alle unghie rosa chiaro, mi complimento con lei e naturalmente, abbassando gli occhi e diventando tutta rossa, mi confessa che non l’ha mai fatto, ma la “badante ha insistito”. La saluto più sollevata e ringrazio la badante. Chissà forse esiste un piccolo spiraglio.

Leggi gli altri incontri: Pietro, Vittoria e Angelo

 

L’arte del “prendersi cura”. Angelo e ‘la cipolla in gamba’

Incontri umani sulle corsie degli ospedali

Quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

imageProsegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato anche e soprattutto sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.

Dal racconto di Sabrina Girotti, terapista della riabilitazione

Ringrazio veramente quotidianamente l’universo per avermi dato l’opportunità di fare questo lavoro meraviglioso che mi insegna veramente tanto. Posso continuare a frequentare corsi sulla comunicazione ma chi mai potrà insegnarmi cosa provo quando guardo nel corridoio Luigi seduto in carrozzina affetto tra le altre cose da una grave sordità che guarda convinto Angelo sempre in carrozzina per un’amputazione alla gamba affetto anche da un’afasia che non gli permette di formulare parole e frasi compiute, ma le lettere si accavallano e si sostituiscono ma racconta lo stesso la sua vita appunto a Luigi. Dicono di essere dei grandi amici e si sono incontrati da pochi giorni nella corsia dell’ospedale.

Angelo….e si devo dirlo anche se sicuramente non è molto professionale ma verso alcuni pazienti scatta una simpatia immediata, un voler bene istantaneo. Ed è appunto il caso di Angelo, un uomo con un faccione rubicondo, dializzato, quindi costretto ad essere attaccato ad una macchina per tutta la notte, con un’amputazione dell’arto sinistro per il diabete e tanto per completare un ictus all’emisfero sinistro che le ha compromesso il linguaggio. E’ molto emotivo ed affettuoso direi quasi esuberante e si fa molto fatica a capire ciò che vuole dire. Afferma una cosa e un secondo dopo la cosa contraria con la stessa convinzione.

Per poter dire una parola esattamente ha bisogno di sillabare e così succede che per tutta la mattinata ripete:”SA-BRi-NA” oppure “VA-LE-RIA”(la mia dolce collega). Inutile tentare di farlo smettere quando parte parte…Le sue espressioni mi fanno morir da ridire e per questo mi scuso con lui, ma non posso farne a meno per fortuna sembra che lui non se la prenda. Si è innamorato a prima vista di una signora ricoverata e ripete spesso che è una bravissima donna, una lavoratrice, una donna di altri tempi, quando la vede non riesce a contenersi, è felicissimo. Afferma che lui ne ha avute tante di donne e quindi se ne intende…A pensare che la signora in questione non ha veramente niente di speciale, anzi direi anonima, ma all’amore non si comanda! La cosa piacevole è che lei è contenta di questo interesse nei suoi riguardi.

Il giorno che arriva il tecnico con la protesi provvisoria, la guarda e la riguarda continuando a mormorare ”non pensavo, non credevo” con un’espressione veramente meravigliata. Descrivere poi quando con il deambulatore ha fatto “i primi passi” è veramente difficile, sono quegli sguardi che non si dimenticano, la stessa gioia di una bambino quando fa una nuova scoperta. E sì sembra proprio un bambino anche quando non vuol fare qualcosa ad esempio come quando si è rifiutato di mettere la calza per i problemi di circolazione. Si è arrabbiato tantissimo, non si capiva quel che diceva ma non c’è stato verso di convincerlo. Giorni dopo si è convinto. Spesso vengono fuori in lui atteggiamenti infantili, se lo rimprovero abbassa lo sguardo e mi dice:”Zitta fa la bona”.

Le sue espressioni poi sono proprio esilaranti, mandandomi un bacio con la mano dice:”un bucio”; “la cipolla è in gamba”(mah.); ”la palla è sfiasa”(sgonfia); “Sono stato a Montecaio”(Montecarlo);”Siamo metti male”(Siamo messi male);”Io sono un boscataglio”(un buongustaio),”E’ la figlia della madre perché il padre è morto.”;”Purtroppo speriamo che va bene”

Spesso è difficile capire quello che vuole dire ma con un po’ di impegno ci si riesce,a volte mi viene però una pesantezza di testa che poco dopo svanisce. Quando lo vedo in corridoio immerso in una conversazione con Carlo che è sordo e lo guarda interessato penso che veramente ognuno di noi è un’universo a sé.

A proposito delle cose che non succedono a caso nello stesso periodo è ricoverato un altro signore più giovane al quale invece è stato amputata la gamba destra. Allora si confrontano i monconi, e si incoraggiano a vicenda,nasce una solidarietà tra loro. Tutti i giorni si confrontano,si fanno i complimenti si scambiano sensazioni. E poi come sempre arriva il momento delle dimissioni e sia ha come l’impressione che un pezzetto della tua giornata manchi!

Leggi gli altri incontri: Pietro e Vittoria

ARTE a sostegno del malato di Alzheimer

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L’articolo “Vi lascio un segno della mia esistenza” di Chiara Salza pubblicato dalla Rivista Nuove ArtiTerapie ripercorre l’esperienza dell’autrice a contatto per la prima volta con la realtà della malattia d’Alzheimer.

“Terminata, nel 1997, la Scuola di Formazione nelle Artiterapie, avevo molto chiaro che la strada da fare, per potermi considerare un’arteterapista, era ancora molta. Quello che poteva sembrare un limite della scuola si è rivelato, col tempo, essere un pregio: instillare in me la certezza di non essere mai arrivata, e spingermi sempre più in là” Scrive così Chiara Salza, e ancora “E’ con questa predisposizione che nel 2003 vengo a conoscenza del CDT di Como (Centro Donatori del Tempo). Un’associazione che dal 1992 si occupa di sostenere il malato d’Alzheimer e i suoi familiari, comunicando informazioni sui loro diritti, sulla rete dei servizi offerti dal territorio comasco e organizza laboratori di stimolazione cognitiva attraverso diversi percorsi. L’arteterapia dal 2004 si affianca a queste iniziative e, attraverso il mio atelier, vengo a contatto per la prima volta con la realtà della malattia d’Alzheimer”.

La Salza sa bene che per approcciarsi a una patologia così nuova e delicata che colpisce moltissimi anziani non bastano le personali conoscenze, ma bisogna approfondire, studiare l’Alzheimer sotto diversi punti di vista “quello strettamente medico – scientifico, quello della relazione con il malato, quello delle diverse possibilità d’intervento riabilitativo, rimanendone, così, affascinata”.

L’articolo si addentra nel funzionamento della memoria, o meglio delle memorie e naturalmente sottolinea l’importanza dell’arte come integrazione e interazione. “Nei primi 24 mesi – prosegue la Salza – il bambino vive esperienze affettive in relazione al rapporto con la madre. Esse possono essere di diversa intensità, positive o negative, caratterizzate da esperienze traumatiche o no. Tutte queste esperienze vissute, le difese o le fantasie a loro collegate, si depositano nella memoria implicita creando un nocciolo d’Inconscio che non sarà rimosso, condizionando il resto della vita futura. L’area predisposta alla memorizzazione di queste esperienze affettive-emozionali, in una fase della vita preverbale, è l’amigdala. Riconosciuto che l’amigdala interviene nella memorizzazione e nella rielaborazione delle emozioni inerenti alla memoria implicita, l’ippocampo è invece l’area predisposta all’immagazzinamento della memoria esplicita. Nel malato d’Alzheimer a deteriorarsi è principalmente l’ippocampo, mentre l’amigdala resta pressoché intatta a lungo. E’ questa l’area cerebrale sulla quale può intervenire l’arteterapia. Le esperienze emotive primarie di cui ho parlato sopra possono essere riportate in superficie attraverso un linguaggio non verbale ben calibrato: il sogno, la musica, l’arte. Lavorare con soggetti malati d’Alzheimer con l’arte ha lo scopo di proporre un trattamento non legato ad un processo di guarigione, ma finalizzato al benessere e al miglioramento dell’esistenza.

L’articolo prosegue con una serie di obiettivi riabilitativi e con il racconto personale dell’esperienza dell’atelier che la Salza conduce. Esperienza testimoniata dalle immagini pubblicate.

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