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“Lampedusa 366”: opera d’arte collettiva in ricordo delle vittime del naufragio

A Lampedusa il 3 ottobre del 2013 hanno perso la vita 366 persone: donne, uomini, bambini. Alle vittime di quel naufragio a largo dell’isola dei Conigli è dedicata l’installazione partecipata “Lampedusa 366” che sarà inaugurata alla presenza di Giusi Nicolini (sindaco di Lampedusa), il prossimo 5 aprile alle ore 11 presso gli spazi del Museo Ettore Guatelli di Ozzano Taro Collecchio (PR). Quello di sabato è il primo di una serie di appuntamenti previsti nell’ambito del progetto “Svolte” avviato nel 2014, con l’intento di proporre programmi e progetti “con un messaggio positivo, specie in un momento critico come quello attuale, prendendo spunto dalle storie raccolte dall’associazione Mammatrovalavoro di persone che hanno deciso di poter dare una svolta in positivo alla loro vita”.  L’installazione, che prende il nome dal numero delle vittime del naufragio, è composta da 366 punti posti nel grande prato di fronte al museo: 366 paia di scarpe di uomini, donne, bambini annodate attraverso i loro laccetti. Hanno partecipato cittadini, enti, istituzioni e circoli culturali del parmense. “Nella vita e nella storia ci sono svolte che, individualmente o storicamente, hanno determinato un cambiamento di percorso” dice Mario Turci, direttore della Fondazione Museo Ettore Guatelli: “Con Lampedusa 366, ci siamo posti come obiettivo quello di realizzare un’opera partecipata attraverso la donazione di un paio di scarpe, in modo che le persone partecipassero attivamente alla realizzazione quale segno di una memoria collettiva” in ricordo della più grande strage dell’immigrazione sulle coste italiane. Il progetto è stato promosso oltre che dalla Fondazione Museo Ettore Guatelli, dal Comune di Collecchio (Pr), e da Coop Consumatori nordest. La campagna che ha dato il via alla raccolta di oggetti è stata denominata “Le mie scarpe per non dimenticare. (slup)

Fonte Redattore sociale

A Milano un museo formato bambini. Passateparola!

Il MUBA (Museo dei bambini di Milano) nasce nel 1995. Dal 1997 ad oggi, pur non avendo una sede permanente, ha progettato e prodotto 13 grandi mostre interattive e numerose attività laboratoriali sviluppate secondo specifici criteri  pedagogici. Ha realizzato progetti didattici in oltre 50 città in Italia ed in Europa ed i bambini coinvolti sono stati quasi 800 mila, di cui il 50% in gruppi classi con 50 mila insegnanti.

Dal 2007 è una Fondazione senza scopo di lucro, riconosciuta a livello regionale che ha come scopo quello di formare e diffondere espressioni della cultura che intendano promuovere nei bambini un pensiero creativo e libero dagli stereotipi preparandoli ad una società che richiede sempre maggiori attitudini creative.

Dal 2013  il Museo dei bambini di Milano ha una sede permanente, Fondazione MUBA si è infatti aggiudicata la concessione per 8 anni della Rotonda di via Besana, uno degli edifici architettonici più rappresentativi del XVIII secolo a Milano.

Il 24 gennaio 2014, è stato inaugurato il primo Museo dei bambini di Milano alla Rotonda di via Besana. Sarà un centro permanente di progetti culturali e artistici dedicati all’infanzia, un luogo aperto all’innovazione che riunisce le eccellenze nazionali e internazionali della cultura, della didattica, della scienza e delle arti per promuovere lo sviluppo della creatività e del pensiero progettuale creativo.

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LE PIETRE ‘INCANTATE’ DI SAN SPERATE…

Pinuccio Sciola e il suo giardino di pietre sonore

pietre_suonanteC’è un luogo incantato in Sardegna (uno dei tanti!).. un giardino di pietre sonore, uno spazio artistico senza tempo, che mette d’accordo tutti i sensi, li unisce, amplifica, li contempla. Una città di suoni, edificata con pietre, in un angolo della campagna sarda di San Sperate, paese-museo in provincia di Cagliari dove l’arte ha cittadinanza onoraria. Dal 1968 infatti San Sperate ha catturato l´interesse di artisti locali, nazionali e internazionali. Tra questi, forse il più illustre, Pinuccio Sciola pittore e scultore locale. E’ grazie alla sua intuizione che il paese negli anni ha subito una rivoluzione estetica, il progetto che Sciola ipotizzava e ha concretizzato era quello di modificare “l’aspetto dei muri anonimi delle case” per farli diventare veri e propri “protagonisti”. Popolazione e amministrazione, in collaborazione con artisti provenienti da tutte le parti del mondo, hanno abbracciato l’idea e contribuito attivamente alla realizzazione dell’attuale patrimonio artistico. Gli autori hanno lasciato che le loro opere rimanessero esposte tra le mura delle case o nelle vie colorate del paese: murales, sculture, fotografie, attirano lo sguardo curioso di innumerevoli visitatori…

Tra queste opere: le pietre di Sciola, strumenti musicali fatti ad arte…

Sciola e le sue pietre sonoreBasalti creativamente lavorati, monumenti scolpiti  con raffinata tecnica, incisioni parallele, tagli sulla roccia, sculture capaci di produrre suoni e creare atmosfere particolari. Un incontro con la materia, una carezza che genera note, un museo all’aperto a disposizione del pubblico. Le opere di Sciola si possono toccare, nel suo ‘incantato’ giardino  si è invitati a partecipare, a muovere le mani, per farle entrare in contatto con le pietre. Sono suoni diversi quelli che si riesce a riprodirre, a seconda della qualità e della lavorazione della pietra. Sogno.. poesia.. note che sembrano ora elementi naturali (vento, fuoco acqua…), ora suoni che ricordano il vetro o il metallo, a volte sembrano addirittura voci, in altre, veri e propri strumenti musicali: arpe, xilofoni, didgeridoo, dischi armonici. Le sculture hanno forme varie, ci si possono intravedere pettini e vele, monumenti funebri, poltrone, soli, spartiti musicali, bocche, simboli sessuali, in una infinità di ritmi, timbri e colori. Un luogo silente che si armonizza al tocco del nostro passaggio. Un modo di assaporare l’arte, uno spazio culturale, in cui con rispetto e creatività, si può persino giocare. Le pietre sonore di Pinuccio Sciola  sono esposte a San Sperate ma anche a Venezia, Assisi, Roma e nelle mostre itineranti di tutto il mondo. (s.lup)

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L’arte è arte, così l’artista. Nessuna categoria di normalità o follia

Abbiamo tempo fino al 16 giugno….

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Il MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna prosegue la sua indagine su temi di grande interesse ancora da approfondire con l’ambizioso progetto espositivo dal titolo “Borderline, Artisti tra normalità e follia. Da Bosch a Dalì, dall’Art Brut a Basquiat” (http://www.museocitta.ra.it/news/pagi…) in programma dal 17 febbraio al 16 giugno 2013. L’obiettivo della mostra è di superare i confini che fino ad oggi hanno racchiuso l’Art Brut e l'”arte dei folli” in un recinto, isolandone gli esponenti da quelli che la critica (e il mercato) ha eletto artisti “ufficiali”. La mostra accosta ad artisti affermati come Dalì, Gericalut, Klee, Bacon, Bosch e Goya, figure artistiche affette da disabilità psichiche come Ligabue, Wolfie, Zinelli, Saracini, Aloïse e Wilson.

Arte e follia: da Bosch a Dalì, dall’Art brut a Basquiat

Artisti tra normalità e follia

Da Bosch a Dalì, dall’Art brut a Basquiat

Salvador Dalì, Mostro molle in un paesaggio angelico, 1977, Musei Vaticani, Città del Vaticano

“Nella cultura europea del XX secolo diversi protagonisti delle avanguardie e psichiatri innovatori guardarono in luce nuova le esperienze artistiche nate nei luoghi di cura per malati mentali. Le ricerche di quegli anni avevano avviato una revisione radicale di termini quali ‘arte dei folli’ e ‘arte psicopatologica’, prendendo in esame queste produzioni sia come sorgenti stesse della creatività quanto come una modalità propria di essere nel mondo, da comprendere al di là del linguaggio formale”.

Al Museo d’Arte della città di Ravenna fino al 16 giugno 2013 ci aspetta la mostra “Borderline” curata da Claudio Spadoni, direttore scientifico del museo e da Giorgio Bedoni, psichiatra, psicoterapeuta, con il supporto della Fondazione Mazzotta di Milano.

E’ la voce di tanti capolavori senza distinzione di condizione e vissuti, riuniti in quell’area della creatività dai confini sottili, dove è la persona a trovarvi rifugio ed espressione. In quello spazio, si confondono i ruoli, fino a diventare di simile levatura, individui riuniti nell’unica corretta definizione “artisti”. Che siano ‘artisti ufficiali’, o autori ritenuti “folli”, “alienati”, “outsiders” della scena artistica.

Antonio Ligabue, Autoritratto – inv.177, 1954, Collezione Banca Popolare di Bergamo

La mostra dopo una introduzione introspettiva, con opere di Géricault e Goya  è organizzata per sezioni tematiche, le opere legate all’Art Brut sono una presenza costante durante tutto il percorso e affiancano quelle dei protagonisti importanti, aiutando a stabilire  un confronto sul limite tra la creatività degli ‘alienati’ e il disagio espresso dall’arte ufficiale dell’ultimo secolo, nel bisogno comune di manifestare il disagio  della realtà.

Aprono la sezione “Disagio della realtà”, i lavori di Bacon, Dubuffet, Basquiat, Tancredi, Chaissac, Wols. Seguono con il tema sul “Disagio del corpo” Recalcati, Moreni, Fabbri, Perez, De Pisis, Zinelli, alcuni protagonisti del Wiener Aktionismus e del gruppo Cobra come Jorn e Corneille ,  i “Ritratti dell’anima” sono rappresentati invece dalle opere di Ghizzardi, Kubin, Ligabue, Moreni, Rainer, Sandri, Van Gogh, Jorn, Appel, Aleshinsky, Viani. Il corpo in alcune creazioni esposte diviene “l’estensione della superficie pittorica e talvolta opera stessa nelle sue più sorprendenti trasformazioni, descritte in toni ludici o violenti”. Ampio spazio viene dedicato ad una sequenza di ritratti, e soprattutto autoritratti, “una delle forme di autoanalisi inconsapevole più frequente nei pazienti delle case di cura”.

Uno spazio della mostra è dedicato anche alla scultura, con  opere Art Brut,  inediti di Gervasi e grandi manufatti dell’arte primitiva. Chiuderà la sezione il “Sogno rivela la natura delle cose” in cui “verrà definito l’onirico come fantasma del Borderline con una selezione di dipinti di surrealisti come Dalì, Ernst, Masson, Brauner, oltre ad una nutrita presenza di lavori di Klee, grande estimatore dell’arte infantile e degli alienati”. Con il termine “Borderline” chiariscono i curatori – “si individua la condizione critica della modernità, antropologica prima ancora che clinica e culturale”. (s.lup.)

Per informazioni: Mar Museo dell’Arte
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