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Società: la ‘patologia del tempo’ tra noia, insofferenza e mai colpa

Attualmente il tempo sembra sempre esaurirsi in un “eterno presente”, pensato come uno spettro di possibilità nel quale però non è possibile individuare successioni ordinate, in una immediatezza e in un’assenza di mediazione priva di articolazione riflessiva tra presente, passato e futuro. Il presente o è vissuto come esperienza che resterà per sempre, realtà che una volta accaduta rimarrà indelebile, oppure come momento fuggevole, inconsistente “che non è alcunché”, in un tempo che non ha più misura “durevole”, troppo breve per realizzare qualsiasi azione che possa divenire racconto.  Edito da FrancoAngeli (2012) il libro di Cristian Muscelli e Giovanni Stanghellini “Istantaneità. Cultura e psicopatologia della temporalità contemporanea”, ha il chiaro obiettivo di rintracciare quella corrispondenza tra una data cultura e le forme di psicopatologia che ne sono in qualche modo la cifra. Il tempo, che ha una sua influenza sia sulla patologia che sulla cultura, diventa uno strumento particolarmente efficace per la comprensione dell’uomo. Orientarsi nella coscienza del tempo è orientarsi nell’esistenza.

Nella tarda modernità dal modello temporale della velocità si è passati a quello dell’istantaneità – scrivono gli autori – la cui matrice è divenuta la tecnica, che ne è la condizione di possibilità. Tale passaggio ha segnato una cambiamento radicale: essere contemporanei si traduce “nell’impossibilità di valutare retrospettivamente e di anticipare le conseguenze. Né storia, né responsabilità per la storia”. La tecnica ha generato e sostenuto la fede nella velocità e nell’accelerazione, ha annullato tempi e distanze, ha abolito corpi e polverizzato lo spazio. E’ possibile trasferire le notizie in “tempo reale”, con le tecniche dell’informazione possiamo vivere in più realtà simultanee, essere contemporaneamente in più posti, essere dove “non si è” fisicamente. Questo ha modificato il rapporto con il nostro corpo, con il corpo altrui e la percezione dello spazio, è avvenuta una mutazione antropologica che ha emarginato i valori legati alla promessa e alla memoria. In tale spazio sono favoriti gli individui sincronizzati a un certo ritmo, al ‘passo coi tempi’, capaci di liberarsi da “vecchie” identificazioni, programmi o pianificazioni. Svantaggiate invece, risultano tutte quelle persone, il cui tempo interno è orientato al futuro, nel senso del cambiamento e del progresso. Nell’era dell’istantaneità il tempo implicito individuale giunge a una tale estremizzazione, che il tempo personale si desincronizza da quello collettivo. Risparmiare tempo è diventato uno scopo fine a se stesso, in questaefficiente velocità – sottolineano Muscelli e Stanghellini – la dipendenza degli altri è tacciata di parassitismo: gli stessi fautori del ‘welfare state’,  possono essere percepiti come pesi che rallentano la società, l’economia, il progresso e la libertà. L’uomo ideale deve essere autosufficiente, forte, mai dipendente dagli altri, mai bisognoso. La dipendenza è fallimento, debolezza, vergogna e in questa esaltazione dell’indipendenza le persone si sentono più fragili ed esposte. L’uomo moderno cerca di raggiungere il più alto livello di efficienza a volte anche attraverso l’uso di sostanze (dal caffè alla cocaina) e sviluppa per la fretta (figlia della velocità) forme di mobilità sociale sempre più accentuate: precarietà, flessibilità…

La bussola che guida la ricerca è quindi il modo in cui il tempo oggi è vissuto e concettualizzato, che viene preso come la misura del ‘mondo’ che si esprime ora nella patologia, ora nella norma sociale, l’analisi mostra che l’immediatezza è articolata in due fenomeni che modificano il modo della percezione di se stessi e della relazione con l’altro, giungendo a definire una “sindrome temporale” e a identificare la correlazione tra le nuove forme di esistenza (con i loro disturbi) e la maniera di vivere il tempo. Nella cultura dell’istantaneità, la ‘patologia del tempo’ è principalmente una forma di “insofferenza”, la ‘patologia del presente’ si configura come senso di vuoto, di noia e mai come rimorso, rimpianto, pentimento. La colpa, è esclusa, non esiste, in queste forme di psicopatologia mentale, e se c’è, è dell’Altro. La storia individuale è strettamente collegata a quella sociale, nel trionfo del qui e ora, in un presente senza ieri, senza domani e senza profondità, occorre recuperare la ‘lunga durata’ per dare forma a un progetto e trasformare il fare, in esperienza concreta, ed esistenza reale. La lentezza delle azioni umane ha un senso: è la calma di cui si ha bisogno per essere coscienti di quello che si sta facendo e provarne piacere. In conclusione gli autori abbozzano una via d’uscita, una proposta culturale composta da tre passaggi, la lettura intera del testo svelerà quali. (s.lup.)

Fonte: Agenzia Redattore Sociale