Category: ARTEVISIVA e MEDIART

Altidona e la fotografia immersiva: sentirsi nel luogo osservato

L’utilizzo delle nuove possibilità offerte dalla fotografia abbinata a Internet è un formidabile strumento di promozione del proprio territorio.

Da poco più di un anno è attiva ad Altidona nei locali comunali la Fototeca Provinciale di Fermo. I tecnici di cui si avvale la fototeca hanno realizzato un interessantissimo lavoro di ‘fotografia immersiva’ a 360 gradi sul centro storico di Altidona. Il progetto che è stato donato ai soggetti promotori dell’iniziativa, sarà presentato domenica 9 dicembre alle ore 17 nei locali della Fototeca.

“La sensazione di trovarsi nel luogo fotografato. Naviga la fotografia zoomando su qualsiasi  dettaglio”

A Milano Territorizzontali: dipinto murale, corale, sociale

Territorizzontali: 32 metri di collettività

Sulla facciata esterna dell’Armenia Films, uno dei primi teatri di posa italiani, aperto nel 1911 dalla Società Anonima Milano Films, la più importante casa cinematografica lombarda attiva dal 1909 alla vigilia degli anni ’30, è stato realizzato Territorizzontali, un dipinto murale di 32 metri, progettato da 119 abitanti (di ogni età e provenienza) del quartiere Bovisa  e realizzato dal collettivo F84, un gruppo di sei giovani artisti under 25 laureati alla NABA. Il muro di cinta in stato di abbandono e degrado su cui è stato creato il dipinto ha un’importante valenza storica.

Il progetto è stato sovvenzionato dalla cooperativa “Bovisa90 – La casa ecologica” e patrocinato dal Consiglio di Zona9 del Comune di Milano. Per la presentazione del progetto che avverrà venerdì 30 novembre alle ore 14.30, verrà letta una riflessione scritta appositamente per l’evento dal noto regista Ermanno Olmi.

“Un processo creativo orizzontale e partecipativo” così il collettivo definisce il progetto, in cui il contributo degli abitanti del quartiere è diventato parte integrante del percorso. L’opera collettiva “rappresenta il quartiere del passato e del presente: il fascio luminoso dei proiettori d’inizio secolo proietta desideri, memoria e identità creativa del quartiere di oggi”. Mentre i lavori hanno preso il via il 17 giugno 2011: il collettivo F84 ha allestito un tavolo di lavoro in via Maffucci a Milano, invitando i passanti a partecipare alla creazione del bozzetto di un murale per il quartiere, mettendo a loro disposizione vari materiali grafici e un archivio di immagini storiche legate al territorio di Bovisa e alla storia del cinema milanese. L’operazione è stata ripetuta domenica 19 giugno 2011 presso piazza Alfieri a Milano, riscontrando una numerosa partecipazione.

II dipinto murale – illuminato da due grandi fasci luminosi emessi da antichi cineproiettori – sarà inaugurato il 30 novembre – al Parco Armenia Films. Entrata via Baldinucci 29, Milano (h. 14.30).

La sindrome “dell’accumulo compulsivo” tra creatività e patologia

Alla fine degli anni Novanta una rete televisiva americana mandò in onda un programma dal titolo “Affluenza” che documentava la cultura americana del materialismo e del consumismo, come un disagio sociale in cui i beni prendevano il sopravvento sulle nostre vite. Oggi il digitale terrestre free “Real Time” propone allo spettatore tutti i lunedì dopo le 23 “Sepolti in casa” un condensato di immagini e storie scioccanti (vai la photogallery di RealTime) di case non più vivibili e persone in difficoltà a causa del loro bisogno ossessivo di procurarsi, senza utilizzare né buttare via, una notevole quantità di beni. Studi recenti dichiarano che dai 6 ai 15 milioni di americani soffrono di “disposofobia”, una malattia che causa non poche difficoltà nella vita quotidiana. Il New York Times a marzo del 2007 riportava che dal 1995 la quantità di depositi americani era aumentata del 90% e che più di 11 milioni di famiglie li noleggiavano, perché che non volevano separarsi di cose che forse un giorno avrebbero potuto utilizzare e che le loro case non potevano più contenere.

Alcuni oggetti esposti al Museo Guatelli

C’è anche da ribadire il concetto per cui “confusione e disordine” spesso sono stati anche definiti “indicatori di creatività ed efficienza”: molte persone di successo mancano di capacità di pianificazione e organizzazione di base e in questi casi il disordine viene celebrato, piuttosto che trattato come disturbo. È quando la disorganizzazione influisce sulla qualità della vita e i danni superano i benefici che il disturbo si affaccia. Restituendo un valore alla capacità di mantenere oggetti nel tempo, di recuperarli, di non buttarli, ci sono stati anche ‘accumulatori’ che hanno donato alla collettività beni sociali e culturali, traducendoli in veri e propri musei, è il caso di Ettore Guatelli (Collecchio, 18 aprile 1921 – 21 settembre 2000) maestro elementare, collezionista di cose e di storie, che ha accumulato nel tempo oltre 60 mila oggetti, trovandosi involontariamente coinvolto nel movimento di riscoperta della cultura materiale, che caratterizzò gli anni Settanta. “L’utilità delle cose anche quando queste sono state espulse dal quotidiano come scarti o rifiuti” questo il senso della raccolta Guatelli che del suo rapporto con gli oggetti diceva “sono entrato in comunione con loro, sento che parlano, a forza di starci insieme, di sentire la loro storia, di sentire la gente che ne parla, senti che non sono soltanto cose ma una parte dell’uomo”. Tra le tante definizioni che usava per descrivere la collezione a lui intitolata, Ettore Guatelli ricorreva spesso a quella di “museo dell’ovvio” oppure di “museo del quotidiano”.
Martelli, pinze, pale, forbici, botti, pestarole, scatole di biscotti, sedie ecc. ecc. sono loro che rivestono le pareti del  Museo Guatelli a Ozzano Taro Collecchio (Pr), seguono semplici e artistici motivi geometrici e riempiono i mobili e le mensole, creando un effetto scenografico carico di suggestioni visive e artistiche, capaci di evocare gesti quotidiani di vita contadina. Gli oggetti custoditi nel museo testimoniano la storia comune di uomini e donne “dell’età del pane”, quando il lavoro nei campi sostanziava di sé il profondo legame dell’uomo con la vita. (s.lup.)

Fonte: Agenzia Redattore Sociale

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Galleria L’Angolo: l’arte da passeggio

La Galleria L’Angolo si occupa di arte, antiquariato (quadri, oggetti,  mobili e complementi d’arredo), progettazione d’interni ed arte in generale. Opera in questo settore dal 1982 a Civitanova Marche. L’idea di creare un evento che potesse avvicinare, con estrema semplicità, il pubblico agli oggetti, alle opere ed agli artisti attivi sul nostro territorio, ha dato vita ad Arte da Passeggio, una Rassegna che si terrà da ottobre 2012 a giugno 2013. Ogni terza domenica del mese, presso la Galleria in Via Duca degli Abruzzi 16/18, dalle 17,30 alle 20 sarà ospite un artista e la sua opera.

Un appuntamento del tutto informale per fare quattro chiacchiere sull’arte e sul suo ruolo sociale che non è, come troppo spesso si pensa, solo estetico od intellettuale ma, al contrario, esprime la necessità profonda di ogni essere umano di condividere esperienze, emozioni e riflessioni su noi stessi e ciò che ci circonda. In  questo senso, il primo appuntamento del 21 ottobre, di cui sarà graditissimo ospite il Pittore Gianni Mercuri, uno dei fondatori del Gam, Gruppo artisti marchigiani, partirà con una breve introduzione che tratterà della Cave Art, o Arte delle Caverne, le prime opere d’arte a noi conosciute, risalenti a circa quarantamila anni fa. In quel tempo lontanissimo i nostri progenitori non possedevano ancora un linguaggio scritto e vivevano cacciando nei boschi preoccupandosi di non diventare prede a loro volta di qualche animale selvatico. Eppure, quei progenitori che non sapevano ancora nulla della ruota e non possedevano altro che saper accendere un fuoco, sentivano il bisogno di dipingere su muri di roccia la realtà che li circondava e le emozioni che essa procurava loro. Enormi affreschi preistorici oggi conosciuti in tutto il mondo e considerati veri e propri capolavori, protetti come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Da queste opere tutti i più grandi artisti moderni e contemporanei, da Picasso a Matisse, da Braque a Klee hanno tratto spunto.  (Natalia Tessitore)

Per informazioni: Galleria L’Angolo

“Questa era Hasankeyf”: l’arte per il sociale

This was Hasankeyf” è un progetto di documentario, sullo storico villaggio di Hasankeyf, realizzato dal regista Tommaso Vitali e dai suoi collaboratori Francesco Marilungo e Carlotta Grisi. È un progetto totalmente indipendente attualmente in fase di post-produzione e finanziato dal sostegno dal basso di chiunque creda in esso, attraverso una donazione, grande o piccola, effettuata attraverso la pagina Indiegogo.

Gli autori spiegano ad ARTeSOCIALE motivazioni e finalità del progetto.

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le accumula ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo di rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta.”*

Così Walter Benjamin fissò, in un’immagine dalla forza straordinaria, la complessa relazione che intercorre fra arte e progresso, quella tempesta che ci trascina verso il futuro e non ci dà il tempo di ricomporre e capire i frammenti del passato, le memorie individuali e collettive, di ricollocarle in una catena di eventi capace di generare ancora significato

Qualcuno dirà che l’ho presa un po’ alla larga, e forse è così, ma questa citazione da Benjamin riassume benissimo le riflessioni che ci siamo trovati ad affrontare lavorando per un anno ad e per Hasankeyf. Cos’è Hasankeyf? Al giorno d’oggi è un villaggio di tremila anime situato sulle sponde del Tigri nel sud-est della Turchia. È abitato principalmente da arabi e curdi che vivono di piccolo artigianato, turismo, pastorizia e agricoltura. Ma Hasankeyf è anche un meraviglioso “cumulo di rovine”, un frammento della Storia che se ascoltato ha ancora molto da raccontare al presente. Racconta d’essere stato uno dei primi insediamenti umani di quella culla di civiltà che fu la Mesopotamia, racconta che fu poi capitale di regni e dinastie diverse, crocevia commerciale lungo la via della seta e lungo il Tigri, patria di scienziati che ispirarono addirittura Leonardo (El Cezerî). Ma, come dice Benjamin, la tempesta del progresso trascina “irresistibilmente” e la nostra civiltà non ha il tempo di ricomporre il racconto di Hasankeyf. La nostra civiltà ha bisogno di energia elettrica e quindi costruisce un’enorme diga lungo il corso del fiume che per millenni fu linfa vitale di un ecosistema magnifico. Una diga, un lago artificiale e acqua stagnante che pian piano cresce di livello fino a seppellire entro il 2014, sotto metri cubi d’acqua e d’oblio, la favola che Hasankeyf narra al suo visitatore.

Ecco perché il titolo del nostro lavoro è “This was Hasankeyf” (Questa era Hasankeyf): in quel verbo al passato c’è l’amarezza per qualcosa che ancora è, presente e viva, e che invece si vuole distruggere e cancellare. Hasankeyf è viva nelle sue rocce, nelle sue caverne riscaldate per millenni da focolari ed affetti domestici, viva nei giochi dei suoi bambini che catturano pesci nel fiume, viva nel sorriso accogliente dei suoi abitanti che offrono il tè al visitatore, viva negli artigiani che tessono lana di capra per farne tappeti, viva nei nostri cuori, ora che la abbiamo abitata e conosciuta, ascoltata e filmata. Molti sono corsi a fotografarla e filmarla, cercando di rubarne il segreto nella fretta di uno scatto fotografico o di qualche giorno di riprese. Noi abbiamo scelto di frequentarla quasi per un anno intero, dopo averla conosciuta ed elaborata ognuno alla sua maniera, secondo le linee che il proprio diverso background suggeriva. Abbiamo voluto prenderci la dovuta calma, abbiamo scelto di adeguarci ai suoi ritmi, alle sue buie serate invernali, alle piene e alle secche del Tigri, al caldo torrido del suo giugno e alle ronde quotidiane della cicogna che da più di dieci anni vive sul cucuzzolo del minareto. Abbiamo stretto amicizie, condiviso pasti, trascorso intere giornate al seguito di greggi al pascolo nelle sinuose e affascinanti gole che circondano il villaggio. Solo quando il momento lo richiedeva abbiamo acceso la telecamera e filmato, solo davanti a un bel thè caldo abbiamo fatto domande: sul futuro, su come ognuno cercherà di ridisegnarsi una vita quando la propria casa sarà sommersa e Hasankeyf scomparsa; domande sulla “Nuova Hasankeyf” in cemento armato che la Presidenza del Consiglio sta costruendo dalla parte opposta della valle; domande sui sentimenti che genera la folle stasi quotidiana nella quale gli abitanti sono costretti, ma domande anche e soprattutto sul passato, su “com’era” fino a qualche anno fa, quando tutti vivevano ancora nelle grotte e arrivavano fino a Baghdad su zattere di legno per commerciare tessuti. Per tornare alla citazione di Benjamin, abbiamo voluto provare a “trattenerci, destare i morti e ricomporre l’infranto”.

Le risposte degli abitanti di Hasankeyf le troverete nel documentario, quando sarà finito, assieme ai suoi panorami e alla sua luce speciale. Ora ci aspetta una fase difficile per un gruppo indipendente di tre persone senza nessuna istituzione o organizzazione alle spalle. Ovvero la fase del finanziamento della produzione del documentario. Per fare questo abbiamo avviato una campagna di raccolta fondi dal basso sul sito Indiegogo. Sulla nostra pagina potrete trovare i video che presentano il progetto, molto altro da leggere su Hasankeyf e, se vorrete, sostenerci con il vostro aiuto. Questa maniera allargata di finanziare progetti sta prendendo piede sempre più, in America, in Europa, ma anche in Italia con siti come “Produzioni dal basso” e “Kapipal”. È una sorta di vecchia colletta diffusa attraverso il mondo dei socialnetwork e del web. A noi è sembrata la maniera migliore di continuare a mantenerci indipendenti da qualsiasi capriccio commerciale e, allo stesso tempo, di coinvolgere quanta più gente possibile nel nostro progetto. Praticamente chiunque, attraverso una donazione anche piccolissima, può considerarsi ‘produttore’ di “This was Hasankeyf” e questo ci riempie di orgoglio. Siamo convinti che l’arte possa fare tanto per aiutare Hasankeyf ad essere conosciuta e, magari chissà, salvata dalla tempesta del progresso e del futuro che vuole portarcela via! (Francesco Marilungo)

[vimeo]http://vimeo.com/49522130#[/vimeo]

Approfondimenti:
– http://www.indiegogo.com/thiswashasankeyf?a=1274448
– http://thiswashasankeyf.com/
– http://www.facebook.com/groups/181343318660658/

  *La citaione di Walter Benjamin è tratta da Tesi di Filosofia della Storia (1940).