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L’ARTE DEL PRENDERSI CURA: Mariolina e la preziosità di un bacio

Incontri umani sulle corsie degli ospedali: quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

Prosegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato, anche, e soprattutto, sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.

“Mariolina” e la preziosità di un bacio.
Dal racconto di Sabrina Girotti

Mariolina perché fa rima con Nebbiolina. Questo è il nome che le ho dato perché quando l’ho vista mi ha colpita i suoi occhi celesti avvolti in una nebbia leggera e i suoi ricordi coperti da una nebbia molto fitta. Nebbiolina affetta da tempo di Alzheimer in forma avanzata il 30 ottobre 2016 a seguito del trambusto causato dal terremoto si frattura il femore e dopo l’intervento viene ricoverata da noi per la riabilitazione.

E’ completamente smarrita, non sa dove si trova le viene detto ma dopo 10 sec. non si ricorda. Non sa cosa le è successo e perché si trova lì. Ed anche in questo caso le si spiega cosa le è successo ma le nebbia maledetta irrompe e cancella tutto. Non esprime mai un desiderio, non pronuncia mai una frase di senso compiuto. Se ne sta lì seduta in carrozzina con lo sguardo smarrito, angosciato. Ogni tanto si lamenta di qualche dolore ed è difficile capire cosa le fa male quindi si tenta di cambiarle posizione, di rassicurarla e lei puntualmente ringrazia, si scusa o dice: ‘Mi dispiace’. E ogni volta è una fitta al cuore verrebbe voglia di avvolgerla in un caldo abbraccio, di tenerla sretta stretta, di rassicurarla. E’ difficile da sostenere il suo sguardo smarrito…E’ una presenza silenziosa, dorme per buona parte della giornata, mangia pochissimo.

La difficoltà per noi operatori è trovare un modo per comunicare. Poi un giorno in palestra lei stava sul lettino con la mia collega che cercava di farle muovere le gambe un’altra paziente inizia a cantare ‘Il mondo’ ed io con lei. Con nostra grande meraviglia ci accorgiamo che anche Mariolina canta e per la prima volta. La nebbia si dissolve, il suo sguardo cambia, sorride. Allora io intono altre canzoni che credo lei conosca e così continuiamo a cantare. Quando smettiamo lei ci guarda e afferma:’Quanto mi piacciono le canzoni’ con un bel sorriso. E’ la prima frase di senso compiuto che pronuncia. Si non è una frase scontata ma la musica fa proprio miracoli.

Visto che non ricorda nulla si dimentica anche che non riesce a stare in piedi e che quindi non può andare in bagno e così ha il pannolone. Un giorno è particolarmente agitata e mi dice che deve andare in bagno. Cerco di spiegarle che non può perché non si regge e che quindi può fare i suoi bisogni sul pannolone. Ma continua ad essere agitata e chiedermi che deve andare in bagno. Interviene la mai collega consigliando di metterla sul lettino perché magari riesce meglio. E così faccio. Appena la metto giù si capisce che le sta uscendo, mi guarda e dice: “Scusa mi vergogno” La accarezzo e cerco di rassicurarla: “Non preoccuparti fa quello che devi fare ti lascio da sola” E mi allontano, mi metto alle sue spalle. Dopo un po’ mi riavvicino e lei continua a non essere tranquilla, le parole non servono a nulla e allora proviamo con la musica. E così partiamo con “un cuore matto” “azzurro” ”fatti mandare dalla mamma” e canta e ride non sorride ride come non ha mai fatto. Che meraviglia la vita…Al termine mi chiede quale fosse il mio nome, dopo averlo sentito mi dice che avevo un nome molto bello e che forse l’aveva già sentito “Forse sarà stata una mia amica. Non ricordo più niente”. Rispondo: “non fa niente forse non hai più bisogno di ricordare”. Mi guarda e mi sorride. E’ ora di pranzo e la rimetto in carrozzina. Dopo averla posizionata mi dice: “Posso darti un bacio?” Che gioia immensa, che grosso regalo mi ha dato l’ultimo giorno di lavoro di quest’anno che se ne sta andando, la preziosità di un bacio.

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PietroVittoriaAngeloNebbiolinaVaniaAgnese, Frate Brontolone

A Mantova il convegno sulla “musica della vita” e l’esibizione del coro dei malati di Alzheimer

musi“In ognuno di noi esiste un essere musicale che è possibile raggiungere”, si può tradurre attraverso queste parole il senso delle due giornate di attività, confronto e ricerca, sulle strategie terapeutiche non farmacologiche, l’utilizzo del linguaggio musicale nelle Rsa e la creazione di un coro con malati di Alzheimer, che si terranno a Mantova il 16 e 17 dicembre 2016 presso la sede della Fondazione onlus Mons. A. Mazzali. Corso di formazione e convegno sono patrocinati dal comune di Mantova. A raccontarsi saranno: ospiti dell’istituto geriatrico Mazzali, musicisti, musicoterapeuti, geriatri, familiari, ricercatori scientifici, volontari e operatori. Uniti tutti dal desiderio di approfondire l’importanza della relazione tra musica e patologie di Alzheimer e con l’intento di condividere il progetto che avrà il suo momento clou con l’esibizione del Coro “Voci d’Argento”. Si tratta del “primo coro con queste caratteristiche in Italia” che comprende anziani, parenti, volontari e musicisti della “Nuova scuola di musica”. Un evento “corale” incentrato sulla persona, l’incontro, il canto.

Tutto è iniziato dopo che Veronica Barini, farmacista all’interno della struttura, guarda su internet un video che parla del coro “Las voces de la memoria”, gruppo di Valencia composto esclusivamente da malati di Alzheimer. La storia dell’ensamble vocale nato nel 2010 che ha commosso ed entusiasmato la Spagna ispira anche la Barini. È grazie a lei e al suo interesse che nasce l’idea di proporre al Mazzali un’esperienza simile. A novembre del 2015, con altri dipendenti della fondazione (Renato Bottura, geriatra e direttore scientifico e Carlo Farina, animatore), Veronica Barini partecipa a Bologna ad un seminario di musicoterapia condotto da Roberto Bellavigna, che da circa 20 anni, attraverso il progettoalz lavora nell’ambito delle strutture socio sanitarie e riabilitative per anziani, malati di Alzheimer, parkinsoniani. Da questo incontro “Voci d’Argento” diventa realtà. Definiti step progettuali, selezionate le voci dei partecipanti fra i malati di Alzheimer e creato un primo gruppo, il percorso  ha inizio. Un viaggio nelle emozioni e nei ricordi – lo descrive la Barini – La musica utilizzata come potente strumento di cura è stata capace di trasformare una lezione di canto in una lezione di vita per tutti noi”.

“Le canzoni hanno il potere di evocare, sono mezzi intermediari con cui parlare della vita, dell’amore, della morte, degli addii – spiega Roberto Bellavigna – il canto aziona il controllo della respirazione, rilassa, attiva ponti semantici, accompagna, sostiene, aumenta il ricordo fino ad amplificarlo, è gioia, malinconia, diventa persona, innamoramento”. Stimolare gli anziani che vivono in una casa di riposo attraverso la musica significa alleviare la malattia ma anche “curare il loro quotidiano” perché il benessere passa attraverso le relazioni, gli incontri umani, gli scambi artistici e creativi. Passa attraverso l’esserci. È necessario che operatori, terapisti, medici, psicologi, familiari e gente comune capiscano la forza della proposta “io ci sono per te”.

Il lavoro è durato diversi mesi, le domande dalle quali siamo partiti, spiegano i responsabili del progetto, sono state: quali canzoni vengono ricordate e come sono ricordate? Quale repertorio può essere adatto a tutti i partecipanti e soprattutto, c’è un modo per suggerire ai coristi le parole di un testo quando viene dimenticato? In moltissimi casi il malato di Alzheimer nonostante il progressivo deterioramento delle sue facoltà cognitive, e funzionali è in grado di ricordare le melodie e spesso anche le parole dei motivi che sono stati la colonna sonora della sua vita. Secondo alcuni esperti, probabilmente il motivo è che la musica coinvolge l’individuo sia sul piano emozionale che su quello cognitivo: “la musica è dedica all’altro, aiuta a guardare al futuro a rievocare il passato, a vivere nel presente. È carezza, appoggio, è forza e coraggio, ritmo, danza e cammino”. Sono previsti crediti formativi Ecm, per informazioni 0376/209208, formazioone@fondazionemazzali.it. (sabrina lupacchini/slup)

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Scritti da voi – L’arte del “prendersi cura”: Frate Brontolone

Incontri umani sulle corsie degli ospedali: quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

Prosegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato anche e soprattutto sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.

Frate “Brontolone”. Dal racconto di Sabrina Girotti

frateParlare di lui non è facile ci vorrebbe un libro intero… Cominciamo  dall’aspetto fisico, basta chiudere gli occhi e immaginare un frate de “Il nome della rosa”, naso da gufo, occhi rotondi che errano a destra e a manca, grosso pancione. A causa di un grave ictus cerebrale viene ricoverato nel nostro reparto, non riesce a stare seduto senza appoggio perché il tronco non regge e naturalmente la stazione eretta è impossibile. È  ignaro della sua condizione, affetto da anasognosia cioè la mancata consapevolezza del suo stato, grave impedimento per la riabilitazione. La prima volta che lo vedo insieme alla dottoressa nel letto, si vergogna di farsi visitare e già scatta una profonda tenerezza.  Ironia della sorte per un malinteso tra i frati del convento dove risiedeva il fratello si ritrova ad indossare indumenti decisamente di almeno due taglie più piccole e quindi la pancia scoperta gli procurava un grosso disagio e invano cercava di tirarsi giù la maglia per coprirsi. Il primo giorno che lo porto in palestra mi dice convinto: “Tu mettimi in piedi e io cammino”. Perfetto come partenza niente male.

Ha dimenticato il movimento sia degli arti superiori che degli inferiori, è immobile ma è convinto che si muove. Ha terrore del sollevatore che serve per spostarlo e spalanca quei suoi occhi spaventati. Da subito comincio  a canzonarlo per sdrammatizzare ed è una tattica che mi porta ad ottenere un minimo di risultato. Mi fa pensare Pozzetto in un film di cui non ricordo il nome, che bambino si ritrova in un corpo da adulto. Seconda ondata di tenerezza quando disteso  sul lettino mi racconta che la notte non ha dormito perché il diavolo gli aveva avvolto un fil di ferro attorno alle gambe che stringeva tanto e poi gli animali che lo assalivano. Queste allucinazioni purtroppo continuano a essere presenti. Mi guarda e dice: “Perché non mi credete?!” E naturalmente come posso io contraddirlo?? Cerco solo di spiegargli che  gli altri non vedono gli animali che lo assalgono ma naturalmente a nulla valgono le mie spiegazioni. Dopo giorni e giorni e con molta fatica soprattutto da parte mia perché è pesantissimo riesce a stare seduto sul letto autonomamente e così una nuova visione del mondo. Osserva tutti e li classifica con aggettivi non consoni ad un frate.. Il suo sguardo si illumina quando vede Agata, la mia dolce collega, con lei è sempre complimentoso: “Se mi fossi sposato ti avrei scelto come moglie” e questa frase illumina anche lei. Credeva che io non ci fossi perché ero alle sue spalle e quando fingo di offendermi sorridendo timidamente afferma: “Mi sono messo in una situazione imbarazzante”.

Una mattina tutto fiero mi dice di essere la reincarnazione di Ulisse e che anche lui ha una visibile cicatrice sul ginocchio ed insiste per farmela vedere, ma naturalmente non c’è. Oppure all’improvviso declama pezzi dell’Odissea o passi della Bibbia. Mi racconta quando ha dovuto tenere a bada il piacere per le donne dicendo che non era stato affatto semplice. Ha sempre problemi con un bracciolo della carrozzina e vuole che lo infili io perché secondo lui sono l’unica a saperlo fare. Mi chiede come funziona, rispondo “come funzionano tante cose c’è un affare che va inserito in un foro” allora guarda Agata, con aria di complicità e le dice ”Sabrina fa la pornografica”.

Un giorno gli chiedo se posso mettergli l’olio di mandorlo sulla fronte perché ha delle pellicine e lui: “Certo che puoi però ho le pellicine sulla fronte perché il cervello lavora tanto, brucia, e quelle sono l ceneri”. Vorrei dirgli che un fondo di verità c’è, nel senso che una parte del  cervello è andata veramente in fumo ma non è il caso. Qualche volta se ne usciva anche con frasi veramente importanti: “Nella misura in cui accettiamo questa vita noi meritiamo l’altra” e qui io rimanevo muta! Per passare dalla posizione distesa sul lettino a quella seduta devo letteralmente sollevarlo e così gli dico di cingermi con le braccia e di tenermi forte e così lo metto seduto. Una volta la sua mano “scivolando”si è fermata sul mio sedere, glielo faccio notare e lui con aria tra il timido e il furbo mi racconta una barzelletta: “Un capoufficio al rientro dalle ferie della sua segretaria l’abbraccia felice, le mette le mani sul sedere esclamando che fino a quel momento non sapeva dove mettere le mani” e ride soddisfatto ….Alla mia collega l’apostrofa spesso con complimenti garbati ad esempio “rassicurante” a me “palpabile” e di fronte alla mia perplessità mi spiega che vuol dire sincera, solare… mah, io rimango con il dubbio.

Un giorno viene dicendomi che si sentivo il viso sporco così lo accompagna in bagno a lavarsi la faccia, lo aiuto e lui: “Hai fatto un’opera di carità potresti far parte della congregazione (non ricordo il nome) “come non emozionarsi?! Potrei continuare quasi all’infinito a parlare di lui ma arriva il momento del saluto, vado in camera, lui è sul letto, ha appena terminato di fare colazione e mi chiede se ha il viso e le labbra pulite, alla mia risposta affermativa esclama: “Allora ti posso baciare”. Mi avvicino e mi copre di bacetti a ripetizione sulla guancia, quelli che ti bagnano tutta, che mi dava mia nonna e mio padre e non vorresti più lavarti per non cancellare il segno, ma sai che quello rimane indelebile nel cuore. E ancora una volta non mi resta che “scappare” dalla camera perché le lacrime incominciano a scorrere. Grazie padre Brontolone.

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L’ARTE DEL “PRENDERSI CURA” Gli occhi…specchio dell’anima di Vania

Incontri umani sulle corsie degli ospedali

Quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

imagesProsegue la raccolta dei racconti, che vogliono segnalare quelle situazioni in cui l’incontro tra il paziente e il suo medico curante, l’infermiera e nello specifico in questo caso la terapista della riabilitazione, è basato anche e soprattutto sulla relazione tra le persone. L’arte del prendersi cura non è un motto ma è necessariamente la base di ogni buona riuscita riabilitativa. Per motivi di privacy i nomi delle persone sono inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri.


Gli occhi …specchio dell’anima di Vania

Dal racconto di Sabrina Girotti

Vania ha l’Alzheimer, che in brevissimo tempo le ha cancellato la lucidità, la consapevolezza, la coerenza, il riuscire a formulare una frase comprensibile. Ma i suoi occhi palano per lei. Lo sguardo fisso, velato, spesso angosciato. La saluto, mi guarda, sorride, mi dice”Ciao tesoro” e il mio cuore sobbalza. E’ stata ricoverata perché ha subito un intervento di protesi dell’anca dopo una caduta e il mio ruolo dovrebbe essere quello di permetterle di camminare … Ma anche qui sta il dramma: camminare per fare cosa, per andare dove? Paradossalmente il suo cammino potrebbe essere pericoloso, un vagare senza significato, senza meta, senza un fine e potrebbe farsi di nuovo male. Ma bisogna rispettare il protocollo!

Seduta in carrozzina, una figura minuta, con la pelle del viso di una quarantenne ed invece ne ha 81. Non è mai da sola, perché non può stare ferma  perché se ciò succede comincia a tremare e a chiedere aiuto. Per brevi attimi la consola il recitare le preghiere. Lei che era una divoratrice di libri, che percorreva 12 km al giorno, attenta all’alimentazione basata sopratutto sul pesce. In brevissimo tempo tutto è spazzato via.

Le chiedo se suonava uno strumento risponde “la laica”, poi continua, mettendo insieme parole fatte sopratutto da neologismi e che quindi non riesco ad afferrare, nulla di comprensibile. La adagio sul lettino, la copro e la invito ad addormentarsi, quando succede le massaggio, con tutta la delicatezza che riesco ad avere, il piede che purtroppo è gonfio. Poi si risveglia e comincia a dire “Oddio, oddio”. Non so come fare per rassicurarla, allora la metto seduta sul lettino e poi in carrozzina. Allora lei mi accarezza le guance con entrambi le mani, piange e sussurra”sono disperata, voglio morire”. Ed io (lo so che non è professionale), non posso fare altro che tenerle le mani e far scorrere le mie lacrime insieme alle sue.

 

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ALZHEIMER. A Matilde che non ricorda chi è ma sa ancora ballare

2 tangoSiamo fatti di ricordi anche di quelli dimenticati…

Nei giorni dedicati all’Azheimer, la malattia del lungo addio, della perdita del passato…. ARTeSOCIALE vuole esserci con un video di tre minuti. Un omaggio a tutte le persone che hanno dimenticato chi sono, ma non hanno dimenticato i passi di un tango, le frasi di un ritornello di un vecchio canto…  persone piene del loro passato in ogni ruga, capello bianco, amato accanto…

Quel che la mente non ricorda è scritto nel corpo,  custode delle emozioni e della storia di ogni singola vita.

A tutte le persone malate di Alzheimer, ai loro familiari, amici, parenti… e a chi se ne prende cura. Custodi tutti di quella singola storia.

 

 

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