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“Lo scrittore di luce”: un documentario per osservare il mondo con occhi diversi

“Ci sono cose che le persone vedono soltanto dopo che sono state fotografate”.

“L0 scrittore di luce” il documentario di Matteo Rocchi sul lavoro di Davide Pellegrino, fotografo di fama internazionale. Maggiori informazioni su: www.davidepellegrino.it – www.loscrittorediluce.it, info@davidepellegrino.it

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I venditori di tè: moglie e marito in viaggio per dare corpo ai loro sogni

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Vijayan e Mohana, marito e moglie, hanno viaggiato in sedici paesi e per buona parte dell’India, inseguendo i loro sogni ed assaporando ogni momento insieme. La loro storia è diventata un film documentario: “Invisible wings”, ali invisibili. Una storia profonda e toccante di due persone che hanno scelto di vivere inseguendo i loro sogni. Vijayan ha 65 anni e vive a Ernakulum in Kerala (India) insieme alla moglie Mohana, che non si era mai mossa da casa prima di sposarlo.

Ma cosa hanno di speciale? Fanno i venditori di tè  in India, il mestiere che si sono scelti, oltre a consentire loro di affrontare le giornate con grande calma e tranquillità, rappresenta un mezzo, non un fine: il mezzo per dare corpo ai sogni e portare gli occhi nel mondo.

Leggi tutto l’articolo su: Il Cambiamento.it

[youtube width=”600″ height=”338″]https://www.youtube.com/watch?v=03_dAdqEMlY[/youtube]

ME, WE ONLY THROUGH COMMUNITY. Documentario sulla forza della solidarietà e del cambiamento

Il momento della premiazione a Marco Zuin

Il momento della premiazione a Marco Zuin

“Il Premio Veneto Movie Movement viene assegnato quest’anno a Marco Zuin, regista veneto che con il suo documentario ci porta in Kenya, a conoscere alcuni personaggi la cui vita è cambiata grazie all’aiuto di un’associazione e dei suoi volontari”.
Con questa motivazione la tredicesima edizione dell’Euganea Film Festival ha assegnato al documentario “Me, We only through community” prodotto da Fondazione Fontana e diretto da Zuin, il premio dedicato alla migliore opera realizzata da un regista veneto.

La premiazione si è svolta domenica 20 luglio ai Giardini del Castello di Monselice (PD).

Il film, scritto assieme a Luca Ramigni con le musiche della Piccola Bottega Baltazar, ha partecipato alla rassegna internazionale nella sezione Cinemambulante, dedicata a quel cinema documentario che affronta con lucidità e coraggio temi importanti legati all’ambiente, alla legalità, al lavoro. Un modo per conoscere e confrontarsi con nuovi modelli di vita, nuovi modi di coltivare, di mangiare, di bere, di avvicinarsi a mestieri che sembravano perduti ma anche affondano le radici lontano, di ritrovare il senso della comunità.

“Siamo molto felici di ricevere questo riconoscimento – affermano Zuin e Ramigni – il nostro documentario racconta della grande comunità del St. Martin e porta in video la straordinaria forza del cambiamento che nasce dall’incontro. Questo messaggio è importante per il nostro lavoro. Occasioni come i festival sono luoghi di incontro e di trasformazione, senza dimenticare che il cinema porta sempre con sé una funzione comunitaria”.

La prossima tappa per Me, We sarà mercoledì 23 luglio al Fiuggi Family Festival.

IL DOCUMENTARIO

Makara è un ex ragazzo di strada che oggi lavora come assistente legale per le persone con disagio, Macharia, pastore ed ex insegnante, si prende cura degli anziani, Martin è un bambino abbandonato in strada che è stato accolto da una famiglia a cui ha trasformato il cuore, mentre Grace ha saputo trasformare la sua disabilità in una risorsa preziosa per la sua comunità.

Sono alcuni degli 11 personaggi e delle loro storie di cambiamento raccontate dal documentario “Me,We – Only through community“. Diretto da Marco Zuin, responsabile di Videozuma con le musiche della Piccola Bottega Baltazar, il film della durata di 60′, e realizzato nel 2013, ruota attorno alla trasformazione che nasce dall’incontro, nel contesto africano del Saint Martin, un’organizzazione attiva sugli altopiani a nord del Kenya.

Fondato 15 anni fa da don Gabriele Pipinato e da Fondazione Fontana onlus, il St. Martin promuove la solidarietà coinvolgendo direttamente la comunità locale e offrendo un supporto concreto alle persone più vulnerabili, in una zona rurale pari per estensione a metà del Veneto. La troupe ha seguito mostrandone quotidianità e sensibilità: bambini di strada, persone con disabilità, ex dipendenti da alcol o droghe, ma anche membri dello staff e volontari, oggi più di mille. Ognuna di queste storie grazie al St. Martin ha intrapreso un percorso straordinario verso il cambiamento. Il film realizzato attraverso un’azione di crowdfunding è disponibile anche con libro allegato, i proventi contribuiranno a sostenere le attività dell’organizzazione.  “Poi quando incontri la fragilità degli altri scopri che i tuoi problemi ricevono una risposta nel cammino”, del resto “nessuno è così povero da non poter donare, nessuno è così ricco da non poter ricevere”… (slup)

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=70WAahrgEwE[/youtube]

 

“Questa era Hasankeyf”: l’arte per il sociale

This was Hasankeyf” è un progetto di documentario, sullo storico villaggio di Hasankeyf, realizzato dal regista Tommaso Vitali e dai suoi collaboratori Francesco Marilungo e Carlotta Grisi. È un progetto totalmente indipendente attualmente in fase di post-produzione e finanziato dal sostegno dal basso di chiunque creda in esso, attraverso una donazione, grande o piccola, effettuata attraverso la pagina Indiegogo.

Gli autori spiegano ad ARTeSOCIALE motivazioni e finalità del progetto.

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le accumula ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo di rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta.”*

Così Walter Benjamin fissò, in un’immagine dalla forza straordinaria, la complessa relazione che intercorre fra arte e progresso, quella tempesta che ci trascina verso il futuro e non ci dà il tempo di ricomporre e capire i frammenti del passato, le memorie individuali e collettive, di ricollocarle in una catena di eventi capace di generare ancora significato

Qualcuno dirà che l’ho presa un po’ alla larga, e forse è così, ma questa citazione da Benjamin riassume benissimo le riflessioni che ci siamo trovati ad affrontare lavorando per un anno ad e per Hasankeyf. Cos’è Hasankeyf? Al giorno d’oggi è un villaggio di tremila anime situato sulle sponde del Tigri nel sud-est della Turchia. È abitato principalmente da arabi e curdi che vivono di piccolo artigianato, turismo, pastorizia e agricoltura. Ma Hasankeyf è anche un meraviglioso “cumulo di rovine”, un frammento della Storia che se ascoltato ha ancora molto da raccontare al presente. Racconta d’essere stato uno dei primi insediamenti umani di quella culla di civiltà che fu la Mesopotamia, racconta che fu poi capitale di regni e dinastie diverse, crocevia commerciale lungo la via della seta e lungo il Tigri, patria di scienziati che ispirarono addirittura Leonardo (El Cezerî). Ma, come dice Benjamin, la tempesta del progresso trascina “irresistibilmente” e la nostra civiltà non ha il tempo di ricomporre il racconto di Hasankeyf. La nostra civiltà ha bisogno di energia elettrica e quindi costruisce un’enorme diga lungo il corso del fiume che per millenni fu linfa vitale di un ecosistema magnifico. Una diga, un lago artificiale e acqua stagnante che pian piano cresce di livello fino a seppellire entro il 2014, sotto metri cubi d’acqua e d’oblio, la favola che Hasankeyf narra al suo visitatore.

Ecco perché il titolo del nostro lavoro è “This was Hasankeyf” (Questa era Hasankeyf): in quel verbo al passato c’è l’amarezza per qualcosa che ancora è, presente e viva, e che invece si vuole distruggere e cancellare. Hasankeyf è viva nelle sue rocce, nelle sue caverne riscaldate per millenni da focolari ed affetti domestici, viva nei giochi dei suoi bambini che catturano pesci nel fiume, viva nel sorriso accogliente dei suoi abitanti che offrono il tè al visitatore, viva negli artigiani che tessono lana di capra per farne tappeti, viva nei nostri cuori, ora che la abbiamo abitata e conosciuta, ascoltata e filmata. Molti sono corsi a fotografarla e filmarla, cercando di rubarne il segreto nella fretta di uno scatto fotografico o di qualche giorno di riprese. Noi abbiamo scelto di frequentarla quasi per un anno intero, dopo averla conosciuta ed elaborata ognuno alla sua maniera, secondo le linee che il proprio diverso background suggeriva. Abbiamo voluto prenderci la dovuta calma, abbiamo scelto di adeguarci ai suoi ritmi, alle sue buie serate invernali, alle piene e alle secche del Tigri, al caldo torrido del suo giugno e alle ronde quotidiane della cicogna che da più di dieci anni vive sul cucuzzolo del minareto. Abbiamo stretto amicizie, condiviso pasti, trascorso intere giornate al seguito di greggi al pascolo nelle sinuose e affascinanti gole che circondano il villaggio. Solo quando il momento lo richiedeva abbiamo acceso la telecamera e filmato, solo davanti a un bel thè caldo abbiamo fatto domande: sul futuro, su come ognuno cercherà di ridisegnarsi una vita quando la propria casa sarà sommersa e Hasankeyf scomparsa; domande sulla “Nuova Hasankeyf” in cemento armato che la Presidenza del Consiglio sta costruendo dalla parte opposta della valle; domande sui sentimenti che genera la folle stasi quotidiana nella quale gli abitanti sono costretti, ma domande anche e soprattutto sul passato, su “com’era” fino a qualche anno fa, quando tutti vivevano ancora nelle grotte e arrivavano fino a Baghdad su zattere di legno per commerciare tessuti. Per tornare alla citazione di Benjamin, abbiamo voluto provare a “trattenerci, destare i morti e ricomporre l’infranto”.

Le risposte degli abitanti di Hasankeyf le troverete nel documentario, quando sarà finito, assieme ai suoi panorami e alla sua luce speciale. Ora ci aspetta una fase difficile per un gruppo indipendente di tre persone senza nessuna istituzione o organizzazione alle spalle. Ovvero la fase del finanziamento della produzione del documentario. Per fare questo abbiamo avviato una campagna di raccolta fondi dal basso sul sito Indiegogo. Sulla nostra pagina potrete trovare i video che presentano il progetto, molto altro da leggere su Hasankeyf e, se vorrete, sostenerci con il vostro aiuto. Questa maniera allargata di finanziare progetti sta prendendo piede sempre più, in America, in Europa, ma anche in Italia con siti come “Produzioni dal basso” e “Kapipal”. È una sorta di vecchia colletta diffusa attraverso il mondo dei socialnetwork e del web. A noi è sembrata la maniera migliore di continuare a mantenerci indipendenti da qualsiasi capriccio commerciale e, allo stesso tempo, di coinvolgere quanta più gente possibile nel nostro progetto. Praticamente chiunque, attraverso una donazione anche piccolissima, può considerarsi ‘produttore’ di “This was Hasankeyf” e questo ci riempie di orgoglio. Siamo convinti che l’arte possa fare tanto per aiutare Hasankeyf ad essere conosciuta e, magari chissà, salvata dalla tempesta del progresso e del futuro che vuole portarcela via! (Francesco Marilungo)

[vimeo]http://vimeo.com/49522130#[/vimeo]

Approfondimenti:
– http://www.indiegogo.com/thiswashasankeyf?a=1274448
– http://thiswashasankeyf.com/
– http://www.facebook.com/groups/181343318660658/

  *La citaione di Walter Benjamin è tratta da Tesi di Filosofia della Storia (1940).

Gamba trista

Gamba trista

Gamba trista di Francesco Filippi (Studio Mistral) vince la sezione Corti di Fiction del Premio L’anello debole edizione 2011 della Comunità di Capodarco: un’opera di animazione che racconta in modo divertente, senza retorica o pietismi, la storia di un ragazzo nato con le gambe molli.  Gamba Trista ha gambe molli e i suoi compagni di scuola lo annodano dappertutto. Lui sopporta e ci scherza su, ma gli piange il cuore quando Rose, la bambina che gli piace, scappa via terrorizzata ogni volta che lo vede annodato. Un giovane disabile dalle gambe molli ma dalle braccia talmente forti che riesce a volare.

 

 

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