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“Di volto in volto”: ritratti di uomini carichi di umanità

Il Cavalier Prato e l’aiutante “Caffellatte”. Foto di Marco Biancucci

Il Cavalier Prato, autore del ‘Parco della Fantasia’ di Macerata, eccentrico signore settantaquattrenne, ex vigile del fuoco, che offre una seconda chance agli oggetti da rottamare e con il suo aiutate “Caffelatte” li ricicla “ad arte”. Il coraggioso Claudio, che nel pieno della crisi economica, a 21 anni e fresco di iscrizione alla facoltà di lettere e filosofia, ha sentito forte il bisogno di ritornare alla terra per prodursi da solo ciò che consuma, ha acquistato un terreno e con l’aiuto di un contadino locale, Giovanni, amico di famiglia ormai novantenne “ma con la vitalità di un bambino”, si è dato all’agricoltura biologica più estrema, la ‘permacoltura’. Poi, Karl ed Elena, un padre nato in Canada e una madre dell’Honduras che scelgono una montagna, un bosco e l’antica casa di un avo a Uscerno, frazione di Montegallo, per metter su famiglia “i due hanno lasciato la città per fare i boscaioli, vivere dello stretto necessario e far nascere i loro figli con il ‘lotus birth’ in casa”.

E ancora: Peppecotto, Cifone, i forzati della strada, chicchirichì, padre Pietro, Pierino, Peppe, Nazzareno. Che cosa li accomuna? Il fatto di essere tutti protagonisti del progetto video-fotografico “Di volto in volto” nel quale due giovani, Giordano Viozzi (video maker e proprietario di Sushi Adv. agenzia di video-comunicazione) e Marco Biancucci (fotografo e titolare di F for Fake e Cantiere 12 progetti) raccontano il sud delle Marche, i suoi personaggi, le loro incredibili storie. “L’idea del format, spiegano gli autori, nasce nel 2010 per darci la possibilità di realizzare un’opera che andasse al di là del nostro lavoro quotidiano ed esprimerci con un tipo di approccio e di stile che sentivamo nostro, ma che difficilmente riuscivamo a far venire fuori nei lavori su commissione e forse anche per metterci un po’ alla prova”.

Padre Pietro “l’abito non fa il monaco”. Foto di Marco Biancucci

“Per realizzare i documentari sono state esplorate città, piccoli centri, contrade, campi polverosi e luoghi lontani da tutto il resto, continuano Viozzi e Biancucci, abbiamo incontrato uomini leggendari, fuori dal comune, protagonisti di gesti e scelte incredibili, carichi di umanità e travolti da un’irrequieta energia creativa, persone audaci, a volte in bilico tra una vita semplice o il disagio, abbiamo conosciuto la bellezza ruvida e inafferrabile di un territorio unico. L’abbiamo vissuta da vicino, ascoltata, guardata negli occhi. E poi con discrezione raccontata”.

L’idea di documentare le storie dei personaggi di un luogo è nata grazie anche ad una citazione di Pier Paolo Pasolini “la bellezza può passare per le più strane vie, anche quelle non codificate dal senso comune” e dalla curiosità di scavare e conoscere quello che c’è “oltre la facciata, perché spesso, le storie marginali, raccontano molto di quello che siamo, ci aiutano anche a comprendere meglio la nostra storia, ma forse le abbiamo dimenticate o non vogliamo conoscerle. In fondo ciò che ne deriva può a volte minare le nostre sicurezze”. Le persone ritratte sono state contattate attraverso conoscenze dirette o il passaparola, una volta che il progetto si è fatto conoscere alcune sono state segnalate tramite la pagina facebook. Ad oggi sono 14 le puntate realizzate, completate ognuna da un reportage fotografico.

Claudio, il ‘maestro’ Giovanni e le zucchine. Foto di Marco Biancucci

“Il progetto non ha una scadenza, finché incontreremo persone degne di essere raccontate, ribadiscono gli autori. Abbiamo cercato di scremare quelle figure più ‘macchiettistiche’, ed essere il meno invasivi possibile, perché sapevamo che la persona poteva essere influenzata dalla nostra presenza. A volte non siamo riusciti a concludere la storia che ci interessava, o a pubblicare le puntate, non sempre è facile far comprendere il nostro lavoro. Ci sono capitate persone che non volevano raccontarsi, a volte ci sono state riservatezze a svelare il proprio mondo. Però siamo soddisfatti del mosaico di storie che si sta creando Ci dispiace non avere ancora tra i personaggi una donna, ma ci stiamo lavorando. Crediamo che il senso e il risultato di questa esplorazione, fino ad ora, concludono, è stato un insieme di ritratti, spietati e comici, commoventi e malinconici allo stesso tempo”. Il progetto è anche visibile su youtubeflickr e vimeo. (slup)

Guarda la photogallery. Fonte Redattore sociale

 

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LE PIETRE ‘INCANTATE’ DI SAN SPERATE…

Pinuccio Sciola e il suo giardino di pietre sonore

pietre_suonanteC’è un luogo incantato in Sardegna (uno dei tanti!).. un giardino di pietre sonore, uno spazio artistico senza tempo, che mette d’accordo tutti i sensi, li unisce, amplifica, li contempla. Una città di suoni, edificata con pietre, in un angolo della campagna sarda di San Sperate, paese-museo in provincia di Cagliari dove l’arte ha cittadinanza onoraria. Dal 1968 infatti San Sperate ha catturato l´interesse di artisti locali, nazionali e internazionali. Tra questi, forse il più illustre, Pinuccio Sciola pittore e scultore locale. E’ grazie alla sua intuizione che il paese negli anni ha subito una rivoluzione estetica, il progetto che Sciola ipotizzava e ha concretizzato era quello di modificare “l’aspetto dei muri anonimi delle case” per farli diventare veri e propri “protagonisti”. Popolazione e amministrazione, in collaborazione con artisti provenienti da tutte le parti del mondo, hanno abbracciato l’idea e contribuito attivamente alla realizzazione dell’attuale patrimonio artistico. Gli autori hanno lasciato che le loro opere rimanessero esposte tra le mura delle case o nelle vie colorate del paese: murales, sculture, fotografie, attirano lo sguardo curioso di innumerevoli visitatori…

Tra queste opere: le pietre di Sciola, strumenti musicali fatti ad arte…

Sciola e le sue pietre sonoreBasalti creativamente lavorati, monumenti scolpiti  con raffinata tecnica, incisioni parallele, tagli sulla roccia, sculture capaci di produrre suoni e creare atmosfere particolari. Un incontro con la materia, una carezza che genera note, un museo all’aperto a disposizione del pubblico. Le opere di Sciola si possono toccare, nel suo ‘incantato’ giardino  si è invitati a partecipare, a muovere le mani, per farle entrare in contatto con le pietre. Sono suoni diversi quelli che si riesce a riprodirre, a seconda della qualità e della lavorazione della pietra. Sogno.. poesia.. note che sembrano ora elementi naturali (vento, fuoco acqua…), ora suoni che ricordano il vetro o il metallo, a volte sembrano addirittura voci, in altre, veri e propri strumenti musicali: arpe, xilofoni, didgeridoo, dischi armonici. Le sculture hanno forme varie, ci si possono intravedere pettini e vele, monumenti funebri, poltrone, soli, spartiti musicali, bocche, simboli sessuali, in una infinità di ritmi, timbri e colori. Un luogo silente che si armonizza al tocco del nostro passaggio. Un modo di assaporare l’arte, uno spazio culturale, in cui con rispetto e creatività, si può persino giocare. Le pietre sonore di Pinuccio Sciola  sono esposte a San Sperate ma anche a Venezia, Assisi, Roma e nelle mostre itineranti di tutto il mondo. (s.lup)

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[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=-hKdPnZjgpQ[/youtube]

La scrittura è un’amazzone

L’identità è un incontro di storie

di Sabrina Lupacchini

Dopo testi di interesse linguistico, etnologico e pedagogico, Loretta Emiri approda a una nuova avventura letteraria, una ‘novella intima’ che compone come un puzzle interiore, racconti di vita familiari, attraverso la rilettura dell’universo e della cultura Yanomami, indios del nord del Brasile con cui la Emiri ha vissuto per anni.

“Quando le amazzoni diventano nonne” (Edizioni CPI/RR) racconta in forma romanzata, la storia della famiglia dell’autrice, mettendo in risalto soprattutto la personalità delle nonne. Le parole danno voce a quelle persone “normali” che hanno vissuto il peso di guerre che non hanno dichiarato, né voluto. Una voce la sua, che riscatta “l’invisibilità, la marginalità e il silenzio delle donne, di chi le prepotenze le subisce”.  Un lavoro di ricostruzione e riappropriazione, verso una nuova appartenenza al proprio percorso di vita, una specie di catartica ‘pulizia interiore’.

“Raggiunta l’età in cui mediamente una donna diventa nonna, Scarpetta,  non è ancora ciò che vorrebbe essere, ma non è nemmeno ciò che gli altri avrebbero voluto che fosse…” scrive Loretta Emiri (Scarpetta) all’inizio dei sei racconti che ci consegnano il ricordo dei familiari più cari: dalla nonna contadina e analfabeta che le tramanda l’importanza della tradizione orale,  fondamentale per la costruzione della propria identità; alla nonna maestra, la cui influenza l’ha portata tra gli indios come intermediaria nell’educazione; dai nonni che le hanno dato sicurezza e capacità di muoversi nel sociale; ai genitori dei quali come scrive nella presentazione al testo Fernanda Elisa Bravo Herrera “va tracciando parole per riempire vuoti”.

L’esperienza all’estero negli anni ha aiutato la Emiri a comprendere il proprio passato. I diciotto anni con gli indios – dediti allo studio e  alla protezione della cultura e dell’educazione indigena – continuano anche oggi oltre le frontiere del Brasile. Il libro ne è esempio e conseguenza: un omaggio da una parte alle donne dell’Amazzonia (dalle quali la Emiri ha colto un nuovo senso di essere donna, madre, nonna) e dall’altro alle ‘amazzoni’ che le sono state compagne di vita, donne che hanno lottato per l’amore e sono sopravvissute alle piccole e grandi difficoltà quotidiane. Universo Yanomami quindi e universo familiare, due culure che si incontrano, si associano e confrontano, due pilastri di cui l’autrice è il ponte di congiunzione.

Parlare della famiglia, della propria famiglia, attraverso il punto di vista degli indios,  per parlare di sé e della nostra società. Una silenziosa autobiografia che viaggia dall’Umbria, alle Marche, al Piemonte, attraverso il Brasile.  Guerre e viaggi, sogni e delusioni, lotta e libri, sforzi quotidiani, ma soprattutto grandi amori, in un tempo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale per approdare ai giorni nostri, giorni nei quali chi narra vive.
Loretta Emiri contatti:
www.emiriloretta.it
loretta.emiri@alice.it

Il cammino della musica

La musica è una faccenda molto più sociale che estetica

di Andrea Zuin

Il Cammino della Musica è un viaggio di conoscenza di differenti popoli e culture attraverso l’osservazione ed il confronto della loro musica un progetto multimediale che sfrutta differenti tecnologie, forme artistiche e mass media per trasmettere conoscenza e cultura un reportage, una storia lunga un viaggio e raccontata durante il viaggio.

“Mi chiamo Andrea Zuin, sono laureato in Musicologia e diplomato in Chitarra classica. Sono musicista e viaggiatore, ossia musicoviaggiante.

Durante un viaggio in Paraguay ho avuto un’apparizione: non una madonna o un santo, ma un indigeno Guaranì che mi chiedeva di registrare il rituale che stava facendo con la sua tribù.

Grazie a questa visione da allora viaggio per il mondo per conoscere i popoli attraverso la loro musica, nella convinzione che la musica stessa sia una faccenda molto più sociale che estetica.

Sono il creatore del progetto “Il Cammino della Musica” che mi ha portato a viaggiare in Sud America “Dal Tango alla Musica caraibica”, in Italia “Io Suono Italiano?”, in Centro America e in Sud Africa.

Diffondo le mie ricerche umano-musicali, per mezzo delle più note riviste del settore musicale (Giornale della Musica, FB Folk Bulletin), dirette radiofoniche (Radio 1-2-3, Radio Popolare Network) dirette web TV, lezioni e conferenze, spettacoli e attraverso questo blog.

Gli spettacoli multimediali basati sul racconto dei miei viaggi, sono stati ospitati in più di 100 città in Italia e nel Mondo e mi consentono di finanziare il Cammino..”

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