Con il termine quarta parete si indica un “muro immaginario” posto di fronte al palco di un teatro, attraverso il quale il pubblico osserva l’azione che si svolge nel mondo dell’opera rappresentata. Un muro immaginario dunque che delimita quel luogo eterotopico che abita tra la finzione e la realtà dell’universo teatrale.
“Rompere la quarta parete” prende origine dalla teoria di Bertolt Brecht del “teatro epico” ( sviluppata partendo da – e in contrasto con- la teoria del dramma di Konstantin Stanislavski) e fa riferimento a un personaggio che si rivolge direttamente al pubblico, o che riconosce attivamente che i personaggi e l’azione non sono reali. Questo produce l’effetto di ricordare agli spettatori che quello che stanno vedendo è finzione. Rompere un muro invisibile, far cadere il velo della finzione e mostrare la realtà.
Leggere queste espressioni che accompagnano il teatro da molti secoli (già gli antichi romani avevano il concetto di quarta parete), alla luce di questo tempo post Covid (un tempo che vede i suoi teatri e luoghi di cultura chiusi, che ha fatto della realtà una condizione che supera la stessa finzione), suona senza dubbio stridente. Mi chiedo cosa significa ora “rompere la quarta parete”, andare oltre questo muro immaginario, che delimita il border tra finzione e realtà, che miscela attori e pubblico…un silenzio muto abita platea e scena, la quarta parete osserva.
In questo nuovo scenario la spinta dell’arte straripa e supera la quarta parete e così presso una Comunità terapeutica con pazienti con patologia psichiatrica, dove svolgo ormai da anni la mia attività di conduzione laboratorio teatro e dopo mesi di incontri teatrali online, si decide di tornare in presenza, ovviamente in massima sicurezza. Come? Utilizzando una parete, non immaginaria, ma invisibile, di plexiglass tra i partecipanti e la conduttrice, una quinta parete teatrale, per unire la presenza tra loro e lei. La presenza, una parete invisibile, finzione, realtà, la plastica che unisce, la plastica che divide.
Mi sto chiedendo ogni volta che effetto mi fa, fare lezione in 2 mt quadrati, separata dai partecipanti e avere il desiderio di scavalcare quella parete e stare in mezzo a loro, vivere la grandezza del teatro, fatto di respiri, tocco, odori e molto altro. Sento la presenza del gruppo, l’accoglienza nel rendermi partecipe aldilà della plastica. M’interrogo su molti punti e poi osservo quella quinta parete invisibile, ma presente, che permette la presenza, guardo i loro occhi, i loro sorrisi (in quanto “congiunti” possono stare senza mascherina) e penso che anche questa volta il teatro, l’arte hanno vinto!
di Roberta Fonsato
(Regista – Psicologa del lavoro – Art Based Facilitator)