Author: Sabrina Lupacchini

Wisława Szymborska: la poesia nasce dal silenzio

“Per me  la poesia nasce dal silenzio”…

Un piccolo omaggio per ricordare una grande donna Wisława Szymborska, poetessa, filologa polacca nata a Kórnik il 2 luglio 1923,morta a Cracovia il1° febbraio 2012. Nobel per la letteratura nel 1996, assegnatole per  ”la apacita’ poetica che con ironica precisione permette al contesto storico e ambientale di venire alla luce in frammenti di umana realta”‘. Le sue prime poesie sono state pubblicate nel 1945.

‘Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne’

 

 La gioia di vivere

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi a un’acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,

da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami causati dalla parola «bosco».

Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.

In una goccia d’inchiostro c’e una buona scorta
di cacciatori con l’occhio al mirino,
pronti a correr giú per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d’occhio durerà quanto dico io,

si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.

C’è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?

La gioia di scrivere.
Il potere di perpetuare.
La vendetta d’una mano mortale.

da “Vista con granello di sabbia”
traduzione di Pietro Marchesani
Adelphi 1998
L’odio
Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforzaReligione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via.
Patria o non patria –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
arrivata per prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
– lui solo.
da “La fine e l’inizio”
traduzione di Pietro Marchesani
Libri Scheiwiller 1997

Le tre parole più strane
Quando pronuncio la parola Futuro
la prima sillaba va già nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.

da “Discorso all’ufficio oggetti smarriti” Adelphi

 

La fine e l’inizio
Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.

In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.

C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non è fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C’è chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.

C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

da “La fine e l’inizio”
traduzione di Pietro Marchesani
Libri Scheiwiller 1997

 

Nulla è in regalo
Nulla è in regalo, tutto è in prestito
Sono indebitata fino al collo.

Sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.

È così che stanno le cose,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.

È troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.

Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l’obbligo
di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.

da “La fine e l’inizio”
traduzione di Pietro Marchesani
Libri Scheiwiller 1997

Nella colonna Dare
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.

L’inventario è preciso
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.

Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso di aprirmi
quel conto.

Chiamiamo anima
la protesta contro di esso.
E questa è l’unica cosa
che non c’è nell’inventario.

La scrittura è un’amazzone

L’identità è un incontro di storie

di Sabrina Lupacchini

Dopo testi di interesse linguistico, etnologico e pedagogico, Loretta Emiri approda a una nuova avventura letteraria, una ‘novella intima’ che compone come un puzzle interiore, racconti di vita familiari, attraverso la rilettura dell’universo e della cultura Yanomami, indios del nord del Brasile con cui la Emiri ha vissuto per anni.

“Quando le amazzoni diventano nonne” (Edizioni CPI/RR) racconta in forma romanzata, la storia della famiglia dell’autrice, mettendo in risalto soprattutto la personalità delle nonne. Le parole danno voce a quelle persone “normali” che hanno vissuto il peso di guerre che non hanno dichiarato, né voluto. Una voce la sua, che riscatta “l’invisibilità, la marginalità e il silenzio delle donne, di chi le prepotenze le subisce”.  Un lavoro di ricostruzione e riappropriazione, verso una nuova appartenenza al proprio percorso di vita, una specie di catartica ‘pulizia interiore’.

“Raggiunta l’età in cui mediamente una donna diventa nonna, Scarpetta,  non è ancora ciò che vorrebbe essere, ma non è nemmeno ciò che gli altri avrebbero voluto che fosse…” scrive Loretta Emiri (Scarpetta) all’inizio dei sei racconti che ci consegnano il ricordo dei familiari più cari: dalla nonna contadina e analfabeta che le tramanda l’importanza della tradizione orale,  fondamentale per la costruzione della propria identità; alla nonna maestra, la cui influenza l’ha portata tra gli indios come intermediaria nell’educazione; dai nonni che le hanno dato sicurezza e capacità di muoversi nel sociale; ai genitori dei quali come scrive nella presentazione al testo Fernanda Elisa Bravo Herrera “va tracciando parole per riempire vuoti”.

L’esperienza all’estero negli anni ha aiutato la Emiri a comprendere il proprio passato. I diciotto anni con gli indios – dediti allo studio e  alla protezione della cultura e dell’educazione indigena – continuano anche oggi oltre le frontiere del Brasile. Il libro ne è esempio e conseguenza: un omaggio da una parte alle donne dell’Amazzonia (dalle quali la Emiri ha colto un nuovo senso di essere donna, madre, nonna) e dall’altro alle ‘amazzoni’ che le sono state compagne di vita, donne che hanno lottato per l’amore e sono sopravvissute alle piccole e grandi difficoltà quotidiane. Universo Yanomami quindi e universo familiare, due culure che si incontrano, si associano e confrontano, due pilastri di cui l’autrice è il ponte di congiunzione.

Parlare della famiglia, della propria famiglia, attraverso il punto di vista degli indios,  per parlare di sé e della nostra società. Una silenziosa autobiografia che viaggia dall’Umbria, alle Marche, al Piemonte, attraverso il Brasile.  Guerre e viaggi, sogni e delusioni, lotta e libri, sforzi quotidiani, ma soprattutto grandi amori, in un tempo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale per approdare ai giorni nostri, giorni nei quali chi narra vive.
Loretta Emiri contatti:
www.emiriloretta.it
loretta.emiri@alice.it

Il cammino della musica

La musica è una faccenda molto più sociale che estetica

di Andrea Zuin

Il Cammino della Musica è un viaggio di conoscenza di differenti popoli e culture attraverso l’osservazione ed il confronto della loro musica un progetto multimediale che sfrutta differenti tecnologie, forme artistiche e mass media per trasmettere conoscenza e cultura un reportage, una storia lunga un viaggio e raccontata durante il viaggio.

“Mi chiamo Andrea Zuin, sono laureato in Musicologia e diplomato in Chitarra classica. Sono musicista e viaggiatore, ossia musicoviaggiante.

Durante un viaggio in Paraguay ho avuto un’apparizione: non una madonna o un santo, ma un indigeno Guaranì che mi chiedeva di registrare il rituale che stava facendo con la sua tribù.

Grazie a questa visione da allora viaggio per il mondo per conoscere i popoli attraverso la loro musica, nella convinzione che la musica stessa sia una faccenda molto più sociale che estetica.

Sono il creatore del progetto “Il Cammino della Musica” che mi ha portato a viaggiare in Sud America “Dal Tango alla Musica caraibica”, in Italia “Io Suono Italiano?”, in Centro America e in Sud Africa.

Diffondo le mie ricerche umano-musicali, per mezzo delle più note riviste del settore musicale (Giornale della Musica, FB Folk Bulletin), dirette radiofoniche (Radio 1-2-3, Radio Popolare Network) dirette web TV, lezioni e conferenze, spettacoli e attraverso questo blog.

Gli spettacoli multimediali basati sul racconto dei miei viaggi, sono stati ospitati in più di 100 città in Italia e nel Mondo e mi consentono di finanziare il Cammino..”

[youtube]http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=qOSpDDdsE0c[/youtube]

L’arte è anche un modo di vivere

Adriana e l’arte di vivere

di roberta fonsato

Mi chiedo spesso cos’è l’arte.
Mi chiedo se l’arte e qualsiasi forma espressiva o ad ampio raggio la vita stessa. Mi ritrovo di fronte ad Adriana, lei mi riceve nella sua piccola casa, di aspetto raffinato e di ottimo gusto, oasi isolata all’interno di un edificio in un quartiere periferico e dormitorio. Ha un ‘eta indefinita, si direbbe vicino nel prima o nel dopo agli ’80, ma rimane mistero e lei sicuro non lo svela. Il suo corpo e esile, dritto, fiero, gli occhi azzurri e vivi, la sua  mente lucida e veloce, i suoi movimenti freschi, la sua ironia pronta, il suo entusiasmo disarmante. La guardo e mi dico ” questa e arte”.
Mi siedo di fronte a lei, mi riceve con una delle sue vestaglie, che sembra manifestare l’eco della “dolce Vita”, intravedo nell’altra stanza abiti di ricca fattura, pizzi, cappelli, borsette, accessori ricercati. Intravedo tra i cimeli della sua casa, quadri, tappeti, porcellane. Mi fa sedere su un divano di broccato, mentre un raggio di sole illumina il suo volto, inizia a parlare, io la guardo e la ascolto con ammirazione. Lei si racconta, quando per un attimo la interrompo per farle una domanda, lei mi blocca e dice: “ascolta, sto parlando”, io sorrido, mai monito mi e sembrato più opportuno.
Io l’ascolto e non smetterei mai di ascoltarla, mi parla del suo passato, della sua vita intensa, di lotta e solitudine, il coraggio di questa donna e cio che si legge tra le righe.  Le dico che mi sento privilegiata, ad essere una delle poche prsone a cui lei concede udienza, come sostiene, lei non si confonde con la miseria che ci circonda. Mi dice che essendo una donna sola, senza famiglia, c’e chi sta tentando di approfittarsi della situazione, ma lei non molla, dice che lotterà fino alla fine per non cedere. Io ci credo, i suoi occhi non mentono, farcisce i racconti tragici della sua vita con intramezzi divertenti dei suoi viaggi e della storia dei suoi abiti. Il te, poi scorre, poi si ferma e dice “sai la carretta?” io rispondo ” quella in senso metaforico?” lei rimbotta “..non solo..io non so se la ho spinta o tirata, ma di certo sempre ce l’ho avuta accanto”, mi guarda per un attimo e aggiunge “anche tu sai a cosa mi riferisco, ne sono certa”.
E’ arrivato il momento di separarci, almeno fisicamente, Adriana sostiene che noi siamo unite “nell’interiorità”, continua dicendo che lei da buona piemontese ha poca confidenza con gli abbracci, riferendosi al mio modo prolungato di salutare “voi meridionali siete più comunicativi”.  Sorrido e non contenta l’abbraccio un ‘altra volta, esuberando il mio saluto, mi accompagana alla porta e poi mi dice “ora sparisci”.
Sorrido di nuovo, fiera di togliermi di mezzo.
Grazie Adriana, questa e arte, la tuta vita e arte pura!

Scritti da voi… Invecchia chi non gioca

L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.” George Bernard Shaw

Questa bellissima frase è stata ispiratrice del mio libro. Sono ormai molto diffusi i lavori di ricerca sul cervello che parlano della necessità di stimolare le connessioni neuronali per evitare l’invecchiamento. Molti scienziati ci parlano del bisogno di mantenere viva l’attività cerebrale cercando nuove possibilità, imparando a suonare uno strumento o a parlare altre lingue, insomma, mantenendo una vita attiva e ricca di esperienze. Altri lavori non meno importanti hanno evidenziato il comportamento dei neuroni nell’attività creativa. In questi casi, le cellule cerebrali sembrano aprire tutte le possibilità di connessioni a 360°.  Di fatto, si sa che una vita di routine in cui i nostri movimenti si ripetono meccanicamente ci fa pensare sempre nello stesso modo. Come se camminassimo sempre lo stesso sentiero e guardassimo sempre lo stesso paesaggio. Uscire una volta dal solito percorso e guardare in diverse direzioni, ci fa scoprire cose che non avevamo mai visto.

Che cosa c’entra questo con il gioco? Il gioco e la creatività vanno sempre mano nella mano. Mentre si gioca, si esperimentano moltissimi aspetti che riguardano il corpo, l’emozionalità e l’energia dell’individuo. Il corpo assume posture e realizza movimenti non convenzionali, svegliando archivi della memoria muscolare che smuovono emozioni e ricordi, mentre si aziona un meccanismo di equilibrio delle energie che fluiscono. Si stabiliscono rapporti personali che arricchiscono e facilitano l’auto-osservazione e soprattutto si stimola la produzione di endorfine che migliorano lo stato di umore. In situazioni ludiche divertenti i giocatori ridono stimolando e ossigenando organi interni e muscoli. Ci sono giochi che promuovono la competizione sviluppando atteggiamenti di sfida e superamento degli ostacoli, temperanza e volontà. Altri invece, mettono l’accento sulle relazioni interpersonali e sull’integrazione per favorire lo sviluppo di una emozionalità sana e di contenimento.

Tutti i giochi sono utili e tutti ci offrono possibilità di crescita personale. Nel mio lavoro, però, mi sono soffermata a valutare tutte le possibilità del gioco cooperativo, di quello in cui non ci sono vincitori ne vinti, in cui possa essere bandito il concetto di giudizio per permettere l’espressione della libertà totale.
Quest’ultima premessa sembra sia essenziale per sviluppare un momento creativo, cosa che può essere raggiunta attraverso un’attività ludica ben programmata. Ed ecco che ci incontriamo. Mentre l’individuo gioca è capace di stimolare le connessioni neuronali come nell’atto creativo. Di fatto, succede che un artista a lavoro si potrebbe dire che stia giocando. In alcune lingue i due concetti s’intrecciamo: suonare uno strumento musicale, in inglese si dice “to play” che vuol dire anche “giocare”. L’azione di giocare, per essere una pulsione vitale che nasce con l’essere umano per facilitare il suo adattamento all’ambiente fisico e sociale, per sopravvivere e svilupparsi, sembra essere la più indicata per mantenere una vita sana e creativa. Non stiamo parlando soltanto del gioco nell’infanzia, bensì della necessità di sperimentare situazioni ludiche anche nella vita adulta. Nella società attuale è stato imposto il concetto di dover lavorare per produrre, ma soprattutto, quello di dover soffrire per forza. Siamo stati abituati ad associare lavoro con sforzo, noia e sofferenza. Se una persona si diverte nel suo lavoro, viene considerato un “non lavoro”, un hobby. Forse sia arrivato il tempo di cambiare il paradigma. Forse sia il momento di recuperare la nostra capacità ludica per tornare a gioire e riacquistare la possibilità di sentirci autentici, liberi e consapevoli di noi stessi.
Vi invito a provare altri sentieri guardando in alto per scoprire un paesaggio nuovo ogni giorno…