Incontri umani sulle corsie degli ospedali: io e Vittoria
Quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…
Sabrina Girotti è una terapista della riabilitazione, lavora presso una struttura sanitaria pubblica, ma Sabrina prima di tutto è una donna che ama il suo mestiere. Una donna con anni di formazione alle spalle, ricerca e approfondimento, che non si è fermata alla formazione classica ma ha saputo cogliere anno dopo anno quello che, ricerca umana e scientifica, proponevano nel tempo che cambiava Accogliente, ironica, spesso battagliera, Sabrina ha sempre accompagnato all’esperienza, una forte passione per il proprio lavoro e per le persone con qui quotidianamente è venuta in contatto, principalmente anziani. Le abbiamo chiesto di proporci qualche racconto, di segnalarci in maniera semplice e vera quegli incontri quotidiani della terapista-professionista-donna non con i pazienti ma con le persone, uomini e donne, pieni di vissuti, paure e sentimenti.
Molti anziani hanno un linguaggio duro a volte espressioni colorite, scandite da parolacce, che sono più un intercalare che una vera e propria imprecazione, non le abbiamo omesse perché appartengono al naturale e personale linguaggio che contraddistingue anche il tono caratteriale della persona che si ha davanti, le abbiamo accompagnate da alcuni puntini… come fossero BIP tra le parole. Per motivi di privacy i nomi delle persone saranno inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri. (s.lup)
Vittoria “non mi ammazzo perché mi vergogno!”
Dal racconto di Sabrina Girotti
Da tempo scrivo frasi e racconti delle persone che vengono ricoverate nel centro presso il quale lavoro. A quale scopo chiedo a me stessa, forse è perché sono curiosa, o forse, perché vorrei rimanessero i loro ricordi. Allora, perché non provare a trasmetterle anche agli altri? Provo!
Vittoria. Nome regale, ma lei di regale ha solo il naso imponente, che la fa assomigliare ad una strega buona. Anche se poi non è nemmeno tanto buona. I suoi modi sono molto bruschi, diretti, autoritari, le parolacce naturali. E dette da lei sembrano proprio naturali. Affetta da una grave demenza ha gravi disturbi di attenzione, di memoria e di linguaggio.
“Voglio mangiare..quella..quella che assomiglia alla neve” traduzione “ricotta”. “Ho mangiato…c…o” con relativo gesto, traduzione “banana”. Non vuole essere accompagnata in bagno dagli infermieri ma solo dalle infermiere. Quando si tocca la testa e dice “Oddio” provo una tenerezza immensa e penso “che brutto deve essere avere un vuoto in testa e non riuscire a mettere i pezzi insieme”. E ancora, che tenerezza vederla gioiosa quando vede la mia collega, è raggiante, commovente. Dove non arriva con la ragione arriva con il cuore. Sente di chi può fidarsi, anche se non ricorda il nome. Seduta sulla carrozzina, piegata in avanti si piazza sempre sull’arco della porta della palestra. Le tasche della vestaglia – fatta da lei – sono piene di bigliettini con i nomi delle persone che la rassicurano. E sì, perché ha bisogno di essere continuamente rassicurata, avendo perso ogni punto di riferimento spaziale e temporale. Dopo vari giorni che non vedeva il figlio perché ammalato, appena lo ha rivisto è rimasta letteralmente a bocca aperta e poi ha pianto. I giorni seguenti non ha fatto altro che dire “se è siccu, se è siccu” (traduzione quant’è magro).
La notte non dorme e di pomeriggio fa qualche piccolo sonnellino in carrozzina, non vuole mettersi a letto perché teme che poi non verrà alzata. E vi assicuro a nulla valgono le rassicurazioni della sua “amata” Giovanna. E’ vedova da molti anni, ma quando nomina il marito dice “quant’è bello!” e si commuove. A volte indossa una vestaglia alla quale sono applicati fiorellini colorati fatti ad uncinetto. “Che belli che sono questi fiorellini” le dico e mi risponde “li ho messi per coprire le bruciature di sigarette”.
Un giorno si è svegliata dicendo che le erano state rubate le sue cose e allora porta a noi terapiste, i pantaloni della tuta, le canottiere, le mutande, per farcele nascondere ed anche in questo caso non riusciamo a farle cambiare idea e allora non ci resta che “nascondere” le sue cose. Pericoloso farle domande “dove sei stata?”, “a lavarmi la f..a”. Lo dice con una tale spontaneità che sembra l’unico modo appropriato.
E’ golosa di mandarini e di tramezzini, ma mentre i primi le vengono portati dal figlio per i secondi se li fa comprare di nascosto da una signora, perché il figlio non vuole.
Ripete spesso che vuole andare a casa e quando le viene comunicato il giorno non se lo dimentica. E’ contenta ma nello stesso tempo preoccupata e in certi momenti disperata. Ed è proprio in uno di questi momenti che afferma “non mi ammazzo perché mi vergogno!” Che dire, altro che studi di filosofia… E’ stata dura lavorare con la sua presenza costante. Ma ora ne sento la mancanza.