Category: Luoghi ‘comuni’

LE PIETRE ‘INCANTATE’ DI SAN SPERATE…

Pinuccio Sciola e il suo giardino di pietre sonore

pietre_suonanteC’è un luogo incantato in Sardegna (uno dei tanti!).. un giardino di pietre sonore, uno spazio artistico senza tempo, che mette d’accordo tutti i sensi, li unisce, amplifica, li contempla. Una città di suoni, edificata con pietre, in un angolo della campagna sarda di San Sperate, paese-museo in provincia di Cagliari dove l’arte ha cittadinanza onoraria. Dal 1968 infatti San Sperate ha catturato l´interesse di artisti locali, nazionali e internazionali. Tra questi, forse il più illustre, Pinuccio Sciola pittore e scultore locale. E’ grazie alla sua intuizione che il paese negli anni ha subito una rivoluzione estetica, il progetto che Sciola ipotizzava e ha concretizzato era quello di modificare “l’aspetto dei muri anonimi delle case” per farli diventare veri e propri “protagonisti”. Popolazione e amministrazione, in collaborazione con artisti provenienti da tutte le parti del mondo, hanno abbracciato l’idea e contribuito attivamente alla realizzazione dell’attuale patrimonio artistico. Gli autori hanno lasciato che le loro opere rimanessero esposte tra le mura delle case o nelle vie colorate del paese: murales, sculture, fotografie, attirano lo sguardo curioso di innumerevoli visitatori…

Tra queste opere: le pietre di Sciola, strumenti musicali fatti ad arte…

Sciola e le sue pietre sonoreBasalti creativamente lavorati, monumenti scolpiti  con raffinata tecnica, incisioni parallele, tagli sulla roccia, sculture capaci di produrre suoni e creare atmosfere particolari. Un incontro con la materia, una carezza che genera note, un museo all’aperto a disposizione del pubblico. Le opere di Sciola si possono toccare, nel suo ‘incantato’ giardino  si è invitati a partecipare, a muovere le mani, per farle entrare in contatto con le pietre. Sono suoni diversi quelli che si riesce a riprodirre, a seconda della qualità e della lavorazione della pietra. Sogno.. poesia.. note che sembrano ora elementi naturali (vento, fuoco acqua…), ora suoni che ricordano il vetro o il metallo, a volte sembrano addirittura voci, in altre, veri e propri strumenti musicali: arpe, xilofoni, didgeridoo, dischi armonici. Le sculture hanno forme varie, ci si possono intravedere pettini e vele, monumenti funebri, poltrone, soli, spartiti musicali, bocche, simboli sessuali, in una infinità di ritmi, timbri e colori. Un luogo silente che si armonizza al tocco del nostro passaggio. Un modo di assaporare l’arte, uno spazio culturale, in cui con rispetto e creatività, si può persino giocare. Le pietre sonore di Pinuccio Sciola  sono esposte a San Sperate ma anche a Venezia, Assisi, Roma e nelle mostre itineranti di tutto il mondo. (s.lup)

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Viaggio a Hogeway, la città dei senza memoria

Alzheimer: viaggio a Hogeway, la città dei senza memoria

Siamo a Demenzaville: una casa di cura, nei Paesi Bassi, ideata come un villaggio stileTruman show. Sul set gli abitanti, malati. Dietro le quinte, assistenti che fanno da camerieri, commesse, parrucchieri…L’inchiesta pubblicata su Panorama

di Chiara Palmerini

Una lobby con la reception, la piazzetta, la strada principale bordata di tigli e vasi di ortensie da cui partono i vialetti di case col giardino o la veranda, un ristorante dall’arredo minimalista, un piccolo supermercato, il parrucchiere, l’ambulatorio del medico. Villaggio turistico? Quartiere residenziale? Improbabile che chi arriva qui senza sapere riesca a indovinare. Benvenuti aDemenzaville, la città dei senza memoria. Questo paese in miniatura ai margini di Weesp, cittadina a un quarto d’ora di treno dal centro di Amsterdam dove si produceva il cacao van Houten, è una casa di cura per malati di Alzheimer. Chi vive qui è demente, questo il termine usato dalla medicina, e probabilmente non si rende neppure conto di trovarsi in un ambiente protetto dove le persone che aiutano a pulire o a far da mangiare, la cassiera del supermercato, la parrucchiera, sono infermiere, badanti, assistenti pagate per sorvegliarle e accudirle. Una finzione? Una messinscena a uso e consumo di chi è ormai inconsapevole di sé e del mondo?

Tutto l’articolo è consultabile dalla Fonte: http://scienza.panorama.it/salute/Alzheimer-viaggio-a-Hogeway-la-citta-dei-senza-memoria

L’arte senza frontiere sbarca nelle Marche

L’associazione Art sem fronteira apre un circolo culturale e centro artistico a Casabianca (Fermo). L’appello del fondatore Tony Santos, musicista e performer: “Porte aperte a idee all’insegna dello scambio culturale”. Inaugurazione il 22 dicembre

Fermo – Art sem frontiera, l’associazione creata dal musicista e insegnante di percussioni e capoeira brasiliano Tony Santos, sbarca a Casabianca. Il locale è l’Upside down (di fronte all’Hotel Royal), che diventa circolo culturale e centro artistico. Arte a 360 gradi e cultura da ogni angolo del mondo: sono queste le due anime del progetto che aprirà i battenti sabato 22 dicembre. L’inaugurazione prevede a partire dalle 17 il tesseramento dei soci; a seguire buffet, cena sociale, musica dal vivo, jam session, dj set e l’esibizione della compagnia di danza di Manuela Recchi. Spazio anche alla presentazione del programma invernale dell’associazione, al dibattito e alla proiezione della retrospettiva delle attività svolte da Art sem frontiera nel 2012.
Una delle colonne portanti dell’associazione sono le lezioni di musica: Tony Santos infatti da anni insegna percussioni a bambini e adulti. Ma il locale sarà aperto anche a tutti coloro che vogliono organizzare corsi di qualunque strumento e utilizzare la sala prove. Spazio anche al teatro: il circolo apre le porte alle compagnie per prove ed esibizioni. Poi ci saranno le serate dedicate alle mostre; alle presentazioni di libri; alle performance artistiche. Il tutto contornato dalla ristorazione, con un’attenzione particolare ai prodotti biologici, il locale infatti è dotato di bar e cucina.

I progetti in corso e futuri. Le attività di Art sem frontiera hanno un respiro ampio, vicino al sociale e sono tanti i progetti in cantiere, dalla costruzione del Villaggio Artistico a Natal, nel Nord del Brasile, dove gli artisti possano vivere insieme e occuparsi dell’educazione dei bambini, fino ai laboratori interculturali nelle scuole per gli alunni disabili e non.

L’obiettivo di Art sem fronteira. “Dalla collaborazione tra me e Alia Drini, mio amico nato a Podgorica, è nata l’idea di prendere la gestione di questo locale. Idea resa possibile poi dalla proprietaria ha creduto in quello che facciamo”, spiega Tony Santos. “Il nostro obiettivo – continua – è stimolare le idee, soprattutto quelle dei giovani, perché crediamo che di questo ci sia bisogno”. L’associazione lancia anche una sfida sociale, quella di promuovere la convivenza tra nazionalità diverse: infatti i soci sono sia italiani sia stranieri. A partire dal suo fondatore, Tony Santos, che incarna la musica, la danza e la cultura del Brasile e da Manuela Recchi, civitanovese, laureata all’Accademia di danza di Roma e professoressa di danza classica, contemporanea, afro e pilates. “La mia sensazione – spiega Tony Santos – è che qui manchino opportunità a livello artistico e culturale”. La causa è presto detta: “C’è troppa competizione, è questo che ostacola l’interscambio, la crescita e la libertà degli artisti. Per questo noi abbiamo voluto questo spazio, per dare espressione alla creatività senza alcuna barriera, perché è così che concepiamo l’arte. Spesso comuni e province non sono sensibili in questo senso e mostrano di non voler valorizzare gli artisti facendo mancare loro l’appoggio che meriterebbero”.

L’Italia vista dagli occhi di un brasiliano. “Siamo monotoni, io direi che siamo in una sorta di ‘depressione sociale’: voglio dire che siamo fermi, non si dialoga, e io vedo intorno a me quella che chiamo ‘infelicità dell’anima’”. Gli effetti? “Si chiamano intolleranza, tabù, ignoranza, egoismo, competizione. E’ un po’ come se fossimo  tornati a un periodo di schiavitù, dove i cittadini sono asserviti alle cose materiali e sempre meno guidati dall’anima. Credo che lo Spirito abbia abbandonato tanti luoghi del mondo, che non sono più fertili e l’Italia  è uno di questi. Lo dico senza alcuna volontà di criticare, ma perché vivo questa situazione con disagio. Allora il mio sogno è andare oltre la banalità e invertire la tendenza”. Come? “Con la volontà collettiva di coltivare bellezza”.

Il Brasile e la rincorsa della crescita economica. “Il Brasile sta crescendo economicamente a una velocità che non è positiva per la popolazione, il povero si sta illudendo che diventerà ricco, è come se il bambino diventasse subito uomo, è un trauma che lascia segni. Di contro, il mio Paese ha un’infinita ricchezza culturale, è uno di quelli che più appoggia più la cultura. Ma ora la crescita economica sta spazzando via tutto: si ammazzano gli indios per costruire le centrali idroelettriche, distruggendo ettari di terra della foresta amazzonica più le specie animali. Questo significa dare un calcio al polmone del mondo e la gente non se ne accorgerà fino a che non ci saranno reali problemi ecologici. Io vedo questo con gli occhi di un brasiliano che vive in Italia da oltre venti anni. E sono preoccupato, perché in Brasile c’è lo Spirito, ci sono le idee, la terra è fertile, ma ho paura che sarà tutto questo a pagare le spese della crescita. Ma ancora di più sono preoccupato per l’Europa, dove questo processo ha già prodotto i suoi effetti”. (ab)

 

Fonte: Agenzia Redattore Sociale

A Milano Territorizzontali: dipinto murale, corale, sociale

Territorizzontali: 32 metri di collettività

Sulla facciata esterna dell’Armenia Films, uno dei primi teatri di posa italiani, aperto nel 1911 dalla Società Anonima Milano Films, la più importante casa cinematografica lombarda attiva dal 1909 alla vigilia degli anni ’30, è stato realizzato Territorizzontali, un dipinto murale di 32 metri, progettato da 119 abitanti (di ogni età e provenienza) del quartiere Bovisa  e realizzato dal collettivo F84, un gruppo di sei giovani artisti under 25 laureati alla NABA. Il muro di cinta in stato di abbandono e degrado su cui è stato creato il dipinto ha un’importante valenza storica.

Il progetto è stato sovvenzionato dalla cooperativa “Bovisa90 – La casa ecologica” e patrocinato dal Consiglio di Zona9 del Comune di Milano. Per la presentazione del progetto che avverrà venerdì 30 novembre alle ore 14.30, verrà letta una riflessione scritta appositamente per l’evento dal noto regista Ermanno Olmi.

“Un processo creativo orizzontale e partecipativo” così il collettivo definisce il progetto, in cui il contributo degli abitanti del quartiere è diventato parte integrante del percorso. L’opera collettiva “rappresenta il quartiere del passato e del presente: il fascio luminoso dei proiettori d’inizio secolo proietta desideri, memoria e identità creativa del quartiere di oggi”. Mentre i lavori hanno preso il via il 17 giugno 2011: il collettivo F84 ha allestito un tavolo di lavoro in via Maffucci a Milano, invitando i passanti a partecipare alla creazione del bozzetto di un murale per il quartiere, mettendo a loro disposizione vari materiali grafici e un archivio di immagini storiche legate al territorio di Bovisa e alla storia del cinema milanese. L’operazione è stata ripetuta domenica 19 giugno 2011 presso piazza Alfieri a Milano, riscontrando una numerosa partecipazione.

II dipinto murale – illuminato da due grandi fasci luminosi emessi da antichi cineproiettori – sarà inaugurato il 30 novembre – al Parco Armenia Films. Entrata via Baldinucci 29, Milano (h. 14.30).

“Questa era Hasankeyf”: l’arte per il sociale

This was Hasankeyf” è un progetto di documentario, sullo storico villaggio di Hasankeyf, realizzato dal regista Tommaso Vitali e dai suoi collaboratori Francesco Marilungo e Carlotta Grisi. È un progetto totalmente indipendente attualmente in fase di post-produzione e finanziato dal sostegno dal basso di chiunque creda in esso, attraverso una donazione, grande o piccola, effettuata attraverso la pagina Indiegogo.

Gli autori spiegano ad ARTeSOCIALE motivazioni e finalità del progetto.

C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le accumula ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo di rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta.”*

Così Walter Benjamin fissò, in un’immagine dalla forza straordinaria, la complessa relazione che intercorre fra arte e progresso, quella tempesta che ci trascina verso il futuro e non ci dà il tempo di ricomporre e capire i frammenti del passato, le memorie individuali e collettive, di ricollocarle in una catena di eventi capace di generare ancora significato

Qualcuno dirà che l’ho presa un po’ alla larga, e forse è così, ma questa citazione da Benjamin riassume benissimo le riflessioni che ci siamo trovati ad affrontare lavorando per un anno ad e per Hasankeyf. Cos’è Hasankeyf? Al giorno d’oggi è un villaggio di tremila anime situato sulle sponde del Tigri nel sud-est della Turchia. È abitato principalmente da arabi e curdi che vivono di piccolo artigianato, turismo, pastorizia e agricoltura. Ma Hasankeyf è anche un meraviglioso “cumulo di rovine”, un frammento della Storia che se ascoltato ha ancora molto da raccontare al presente. Racconta d’essere stato uno dei primi insediamenti umani di quella culla di civiltà che fu la Mesopotamia, racconta che fu poi capitale di regni e dinastie diverse, crocevia commerciale lungo la via della seta e lungo il Tigri, patria di scienziati che ispirarono addirittura Leonardo (El Cezerî). Ma, come dice Benjamin, la tempesta del progresso trascina “irresistibilmente” e la nostra civiltà non ha il tempo di ricomporre il racconto di Hasankeyf. La nostra civiltà ha bisogno di energia elettrica e quindi costruisce un’enorme diga lungo il corso del fiume che per millenni fu linfa vitale di un ecosistema magnifico. Una diga, un lago artificiale e acqua stagnante che pian piano cresce di livello fino a seppellire entro il 2014, sotto metri cubi d’acqua e d’oblio, la favola che Hasankeyf narra al suo visitatore.

Ecco perché il titolo del nostro lavoro è “This was Hasankeyf” (Questa era Hasankeyf): in quel verbo al passato c’è l’amarezza per qualcosa che ancora è, presente e viva, e che invece si vuole distruggere e cancellare. Hasankeyf è viva nelle sue rocce, nelle sue caverne riscaldate per millenni da focolari ed affetti domestici, viva nei giochi dei suoi bambini che catturano pesci nel fiume, viva nel sorriso accogliente dei suoi abitanti che offrono il tè al visitatore, viva negli artigiani che tessono lana di capra per farne tappeti, viva nei nostri cuori, ora che la abbiamo abitata e conosciuta, ascoltata e filmata. Molti sono corsi a fotografarla e filmarla, cercando di rubarne il segreto nella fretta di uno scatto fotografico o di qualche giorno di riprese. Noi abbiamo scelto di frequentarla quasi per un anno intero, dopo averla conosciuta ed elaborata ognuno alla sua maniera, secondo le linee che il proprio diverso background suggeriva. Abbiamo voluto prenderci la dovuta calma, abbiamo scelto di adeguarci ai suoi ritmi, alle sue buie serate invernali, alle piene e alle secche del Tigri, al caldo torrido del suo giugno e alle ronde quotidiane della cicogna che da più di dieci anni vive sul cucuzzolo del minareto. Abbiamo stretto amicizie, condiviso pasti, trascorso intere giornate al seguito di greggi al pascolo nelle sinuose e affascinanti gole che circondano il villaggio. Solo quando il momento lo richiedeva abbiamo acceso la telecamera e filmato, solo davanti a un bel thè caldo abbiamo fatto domande: sul futuro, su come ognuno cercherà di ridisegnarsi una vita quando la propria casa sarà sommersa e Hasankeyf scomparsa; domande sulla “Nuova Hasankeyf” in cemento armato che la Presidenza del Consiglio sta costruendo dalla parte opposta della valle; domande sui sentimenti che genera la folle stasi quotidiana nella quale gli abitanti sono costretti, ma domande anche e soprattutto sul passato, su “com’era” fino a qualche anno fa, quando tutti vivevano ancora nelle grotte e arrivavano fino a Baghdad su zattere di legno per commerciare tessuti. Per tornare alla citazione di Benjamin, abbiamo voluto provare a “trattenerci, destare i morti e ricomporre l’infranto”.

Le risposte degli abitanti di Hasankeyf le troverete nel documentario, quando sarà finito, assieme ai suoi panorami e alla sua luce speciale. Ora ci aspetta una fase difficile per un gruppo indipendente di tre persone senza nessuna istituzione o organizzazione alle spalle. Ovvero la fase del finanziamento della produzione del documentario. Per fare questo abbiamo avviato una campagna di raccolta fondi dal basso sul sito Indiegogo. Sulla nostra pagina potrete trovare i video che presentano il progetto, molto altro da leggere su Hasankeyf e, se vorrete, sostenerci con il vostro aiuto. Questa maniera allargata di finanziare progetti sta prendendo piede sempre più, in America, in Europa, ma anche in Italia con siti come “Produzioni dal basso” e “Kapipal”. È una sorta di vecchia colletta diffusa attraverso il mondo dei socialnetwork e del web. A noi è sembrata la maniera migliore di continuare a mantenerci indipendenti da qualsiasi capriccio commerciale e, allo stesso tempo, di coinvolgere quanta più gente possibile nel nostro progetto. Praticamente chiunque, attraverso una donazione anche piccolissima, può considerarsi ‘produttore’ di “This was Hasankeyf” e questo ci riempie di orgoglio. Siamo convinti che l’arte possa fare tanto per aiutare Hasankeyf ad essere conosciuta e, magari chissà, salvata dalla tempesta del progresso e del futuro che vuole portarcela via! (Francesco Marilungo)

[vimeo]http://vimeo.com/49522130#[/vimeo]

Approfondimenti:
– http://www.indiegogo.com/thiswashasankeyf?a=1274448
– http://thiswashasankeyf.com/
– http://www.facebook.com/groups/181343318660658/

  *La citaione di Walter Benjamin è tratta da Tesi di Filosofia della Storia (1940).