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ALZHEIMER E ARTE alle Gallerie d’Italia di Milano

Le grandi opere d’arte ridisegnate dai malati di Alzheimer sono in mostra da oggi al 3 novembre alle Gallerie d’Italia di Milano. Sono il frutto del laboratorio di arte-terapia promosso dalla Fondazione Manuli Onlus che ha coinvolto undici malati insieme ai loro familiari.
“Spesso i familiari si stupiscono di vedere la bellezza delle opere riprodotte – spiega Ornella Mazza, responsabile del progetto di Fondazione Manuli-, capiscono che i loro cari hanno una parte sana che ha ancora tanto da trasmettere nonostante la malattia”. E continua: “Le nostre attività di arte e musico-terapia sono rivolte al benessere del malato, per farlo socializzare e ridargli autostima e un’identità personale”.
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LIBRI – Dimenticare se stessi

Alzheimer: l’epidemia silente del nostro tempo

 Schermata 2013-04-19 a 21.22.51L’Alzheimer è una malattia in forte aumento e di grande impatto sociale in Italia, che fa registrare cifre sempre più allarmanti: oltre un milione di malati attualmente censiti . Ogni anno sono 409 mila i nuovi anziani colpiti da demenza. (dati del rapporto Alzheimer di Confartigianato Persone Anap).

Tema centrale quindi, e sempre di maggiore attualità, ma su cui mancava una pubblicazione autorevole che documentasse lo “stato dell’arte” e indicasse nuove prospettive per il futuro.“Dimenticare se stessi“ (edizioni Piccin Nuova Libraria) di Maria C. Quattropani ed Emanuela Coppola si propone di colmare questa lacuna attraverso un compendio accurato di 25 anni di percorsi ed esperienze delle due Autrici e dei due co-AutoriRoberta Lampasona e Antonino Giorgi.

Gli esperti hanno trattato gli aspetti del decadimento mentale nelPaziente Alzheimer e le ricadute psicologiche sul sistema familiare coniugando accuratezza scientifica e quello sguardo amorevole che è necessario nell’approcciarsi a ogni malattia, ma tanto di più a questa che tocca gli stadi più profondi del nostro essere persone senzienti. Con l’aggiunta di una nota di lucida speranza: “Di Alzheimer non si guarisce, ma la qualità della vita è sicuramente migliorabile” attraverso l’adattamento alla patologia da parte dei pazienti e dei loro familiari.

L’eccellente lavoro scientifico presentato in “Dimenticare se stessi“ testimonia quanto si possano progettare e realizzare interventi di “cura” efficaci e corrispondenti alle esigenze (consce e inconsce) degli anziani e dei loro caregivers. Il risultato finale è rassicurante e pone in evidenza come il salto di qualità sia possibile, a partire dalla condivisione e dal riconoscimento scientifico tra coloro che, a vario titolo, lavorano quotidianamente con queste tematiche.

Dimenticare se stessi“ testimonia con forza quanto sia oramai essenziale pensare alla psicogeriatria come ad un corpus nuovo a cui una psicologia dell’invecchiamento più robusta e scientificamente fondata può dare un contributo fondamentale.

Per ulteriori dettagli sul volume si prega di cliccare qui.
Piccin Nuova Libraria S.p.A. Tel. 049.655566 – Fax 049.8750693 e-mail: alzheimer@piccin.it Web:www.piccin.it

Viaggio a Hogeway, la città dei senza memoria

Alzheimer: viaggio a Hogeway, la città dei senza memoria

Siamo a Demenzaville: una casa di cura, nei Paesi Bassi, ideata come un villaggio stileTruman show. Sul set gli abitanti, malati. Dietro le quinte, assistenti che fanno da camerieri, commesse, parrucchieri…L’inchiesta pubblicata su Panorama

di Chiara Palmerini

Una lobby con la reception, la piazzetta, la strada principale bordata di tigli e vasi di ortensie da cui partono i vialetti di case col giardino o la veranda, un ristorante dall’arredo minimalista, un piccolo supermercato, il parrucchiere, l’ambulatorio del medico. Villaggio turistico? Quartiere residenziale? Improbabile che chi arriva qui senza sapere riesca a indovinare. Benvenuti aDemenzaville, la città dei senza memoria. Questo paese in miniatura ai margini di Weesp, cittadina a un quarto d’ora di treno dal centro di Amsterdam dove si produceva il cacao van Houten, è una casa di cura per malati di Alzheimer. Chi vive qui è demente, questo il termine usato dalla medicina, e probabilmente non si rende neppure conto di trovarsi in un ambiente protetto dove le persone che aiutano a pulire o a far da mangiare, la cassiera del supermercato, la parrucchiera, sono infermiere, badanti, assistenti pagate per sorvegliarle e accudirle. Una finzione? Una messinscena a uso e consumo di chi è ormai inconsapevole di sé e del mondo?

Tutto l’articolo è consultabile dalla Fonte: http://scienza.panorama.it/salute/Alzheimer-viaggio-a-Hogeway-la-citta-dei-senza-memoria

Incontri umani sulle corsie degli ospedali: io e Vittoria

Quando il lavoro è fatto ad ‘arte’…

Sabrina Girotti è una terapista della riabilitazione, lavora presso una struttura sanitaria pubblica, ma Sabrina prima di tutto è una donna che ama il suo mestiere. Una donna con anni di formazione alle spalle, ricerca e approfondimento, che non si è fermata alla formazione classica ma ha saputo cogliere anno dopo anno quello che, ricerca umana e scientifica, proponevano nel tempo che cambiava Accogliente, ironica, spesso battagliera, Sabrina ha sempre accompagnato all’esperienza, una forte passione per il proprio lavoro e per le persone con qui quotidianamente è venuta in contatto, principalmente anziani. Le abbiamo chiesto di proporci qualche racconto, di segnalarci in maniera semplice e vera quegli incontri quotidiani della terapista-professionista-donna non con i pazienti ma con le persone, uomini e donne, pieni di vissuti, paure e sentimenti.

Molti anziani hanno un linguaggio duro a volte espressioni colorite, scandite da parolacce, che sono più un intercalare che una vera e propria imprecazione, non le abbiamo omesse perché appartengono al naturale e personale linguaggio che contraddistingue anche il tono caratteriale della persona che si ha davanti, le abbiamo accompagnate da alcuni puntini… come fossero BIP tra le parole. Per motivi di privacy i nomi delle persone saranno inventati. Tutto il resto è realtà. Buoni incontri. (s.lup)

 

Vittoria “non mi ammazzo perché mi vergogno!”

Dal racconto di Sabrina Girotti

mani1Da tempo scrivo frasi e racconti delle persone che vengono ricoverate nel centro presso il quale lavoro. A quale scopo chiedo a me stessa, forse è perché sono curiosa, o forse, perché vorrei rimanessero i loro ricordi. Allora, perché non provare a trasmetterle anche agli altri? Provo!

Vittoria. Nome regale, ma lei di regale ha solo il naso imponente, che la fa assomigliare ad una strega buona. Anche se poi non è nemmeno tanto buona. I suoi modi sono molto bruschi, diretti, autoritari, le parolacce naturali. E dette da lei sembrano proprio naturali. Affetta da una grave demenza ha gravi disturbi di attenzione, di memoria e di linguaggio.
“Voglio mangiare..quella..quella che assomiglia alla neve” traduzione “ricotta”. “Ho mangiato…c…o” con relativo gesto, traduzione “banana”. Non vuole essere accompagnata in bagno dagli infermieri ma solo dalle infermiere. Quando si tocca la testa e dice “Oddio” provo una tenerezza immensa e penso “che brutto deve essere avere un vuoto in testa e non riuscire a mettere i pezzi insieme”. E ancora, che tenerezza vederla gioiosa quando vede la mia collega, è raggiante, commovente. Dove non arriva con la ragione arriva con il cuore. Sente di chi può fidarsi, anche se non ricorda il nome. Seduta sulla carrozzina, piegata in avanti si piazza sempre sull’arco della porta della palestra. Le tasche della vestaglia – fatta da lei – sono piene di bigliettini con i nomi delle persone che la rassicurano. E sì, perché ha bisogno di essere continuamente rassicurata, avendo perso ogni punto di riferimento spaziale e temporale. Dopo vari giorni che non vedeva il figlio perché ammalato, appena lo ha rivisto è rimasta letteralmente a bocca aperta e poi ha pianto. I giorni seguenti non ha fatto altro che dire “se è siccu, se è siccu” (traduzione quant’è magro).

La notte non dorme e di pomeriggio fa qualche piccolo sonnellino in carrozzina, non vuole mettersi a letto perché teme che poi non verrà alzata. E vi assicuro a nulla valgono le rassicurazioni della sua “amata” Giovanna. E’ vedova da molti anni, ma quando nomina il marito dice “quant’è bello!” e si commuove. A volte indossa una vestaglia alla quale sono applicati fiorellini colorati fatti ad uncinetto. “Che belli che sono questi fiorellini” le dico e mi risponde “li ho messi per coprire le bruciature di sigarette”.
Un giorno si è svegliata dicendo che le erano state rubate le sue cose e allora porta a noi terapiste, i pantaloni della tuta, le canottiere, le mutande, per farcele nascondere ed anche in questo caso non riusciamo a farle cambiare idea e allora non ci resta che “nascondere” le sue cose. Pericoloso farle domande “dove sei stata?”, “a lavarmi la f..a”. Lo dice con una tale spontaneità che sembra l’unico modo appropriato.

E’ golosa di mandarini e di tramezzini, ma mentre i primi le vengono portati dal figlio per i secondi se li fa comprare di nascosto da una signora, perché il figlio non vuole.
Ripete spesso che vuole andare a casa e quando le viene comunicato il giorno non se lo dimentica. E’ contenta ma nello stesso tempo preoccupata e in certi momenti disperata. Ed è proprio in uno di questi momenti che afferma “non mi ammazzo perché mi vergogno!” Che dire, altro che studi di filosofia… E’ stata dura lavorare con la sua presenza costante. Ma ora ne sento la mancanza.

Sentirsi soli accelera l’Alzheimer

Il sentimento di solitudine, distinto dall’essere effettivamente soli, è legato a un maggior rischio di sviluppare demenza durante l’anzianità. La ricerca della ARKIN Mental Health Care Amsterdam è stata pubblicata sulla rivista Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry. Nessun impatto invece sull’aumento di rischio per quelli che vivono da soli. I partecipanti allo studio erano 2000 soggetti che facevano parte dell’Amsterdam Study of the Elderly (AMSTEL).
Fra quelli che, all’inizio dello studio, avevano dichiarato di soffrire di solitudine, si verificava un numero di casi di demenza pari a più del doppio, dopo tre anni, rispetto al gruppo di quelli che invece dicevano di non sentirsi soli (13,4 per cento contro 5,7 per cento). Ulteriori analisi dimostravano poi che quelli che vivevano da soli oppure non erano più sposati avevano fra il 70 e l’80 per cento di probabilità di sviluppare demenza rispetto agli altri. Infine, quelli che dicevano di sentirsi soli avevano una probabilità 2,5 volte superiore di sviluppare la demenza, indipendentemente dal sesso. (Agi.it)

Fonte centromaderna.it