A.A.A. cercasi artisti per ARTEr.i.e. festa collettiva e creativa

iscriviti 2015... Sei un artista e desideri mostrare a tante persone diverse la tua ipotesi espressiva? Vuoi condividere la tua arte con tanti altri artisti famosi e non? Testare il tuo spettacolo davanti ad un pubblico di neofiti ed esperti? Veder ballare al ritmo della tua musica tante persone per le vie di un paese intero? Puoi iscriverti ad ARTEr.i.e., “una grande, confusionaria, imperdibile, unica festa collettiva dove trovi uno spazio libero che potrai riempire con la tua arte”.

C’è il cinema, le arti visive, il teatro, la letteratura e la poesia, la danza, la musica vocale e strumentale, le arti di strada e la giocoleria. ARTEr.i.e. dal 3 al 6 settembre 2015  popolerà di artisti di ogni genere Cantalupo in Sabina (Ri) piccolo paesino di circa 1700 anime.

Con circa 800 artisti in quattro serate e 20 mila presenze di pubblico; ARTEr.i.e. è una rassegna che da unici anni “ricopre un ruolo fondamentale tra le manifestazioni culturali del Lazio”. Ogni sera gli artisti si esibiranno in contemporanea e il pubblico girerà liberamente nelle vie del paese, per poi confluire nella piazza principale per gli spettacoli finali.

“ARTEr.i.e. cerca proposte libere fatte da artisti che hanno voglia di sperimentarsi direttamente col pubblico, perché scopo primario della rassegna è l’arte pura e semplice che ha il potere di trasformare delle viette così minuscole in un tappeto umano di gente che guarda, ascolta e osserva incuriosita tutto ciò che gli accade intorno” (slup)

Qualunque sia la tua ipotesi espressiva, ad Arterie c’è un percorso anche per te!

Info e contatti: www.arterie.org – info@arterie.org – Se cerchi bene, trovi ARTEr.i.e. anche su FB, Youtube, Twitter e Google Plus…

AMAMI COME SONO – Performance urbana sulla libertà di esprimere il proprio “essere”

20150629_184652Il 29 giugno 2015  la città di Civitanova Marche (MC) ha visto “sfilare” per le sue strade un corteo di persone, che hanno partecipato ad una performance urbana.
Ognuno aveva addosso un cartello in diverse lingue, che risuonava parole dal comune senso “amami come sono”, il gruppo capitanato dall’attrice e performer Milagros Teresa Pardo Espinosa ha voluto essere appunto una pubblica dichiarazione sulla libertà di esprimere il proprio “essere”, aldilà dell’uniformità.
Mentre il piccolo gruppo sfilava, la città, il traffico, le persone, per pochi minuti si sono fermati, qualche attimo di stand-by per poi riprendere lo scorrere del tutto.
Alcuni osservavano e non capivano, altri fotografavano senza sapere cosa, altri chiedevano, altri strombazzavano, altri ancora rimanevano sospesi a osservare con interesse e curiosità.
Cosa è successo in quei pochi minuti? C’è da chiederselo.
Ci si interroga e si dibatte sul tema della “diversità”, ma cos’è davvero che spaventa dell’essere diverso?
Cosa preoccupa il pensiero comune?
Essere è affermare il proprio essere può davvero costituire motivo di contestazione e diatriba o può essere un luogo di confronto e arricchimento?
Domande sospese…ma lo sguardo non può che rimanere ipnotizzato dall’immagine di una anziana che per tutto il corteo ha partecipato, fiera e in prima linea, su una sedia a rotelle, anche il suo cartello così diceva: “AMAMI COME SONO”

“Bar ControCultural” la performance che porta il teatro nelle case

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Mentre in cielo Giove e Venere si sfiorano in una scena di notte, che vede come protagonista una luna piena di fine giugno, un’altra scena si attua sulla terra, in una terrazza di un paesino marchigiano.
Debutta così la performance “Bar ControCultural”, per due donne di mezza provenienza.
A muovere la scena due attrici di mezza provenienza, Milagros Teresa Pardo Espinosa e Roberta Vincenza Roayelen Fonsato, una cubana, l’altra italiana, che vivono a cavallo dei due continenti.
L’idea al suo debutto è quello di portare il teatro nelle case: le due attrici arrivano nella location che le ospita, creano un teatro spontaneo, fanno la loro performance, davanti agli ospiti e poi la location diventa di nuovo il luogo di prima.
IMG_20150630_202735Insomma creano un teatro a casa tua!!!!
Un passaggio avvolto nel mistero, perché ogni volta il luogo della performance cambia e non è dichiarato, se non solo alle persone che sono state invitate.
La performance è un susseguirsi di battute, che si interrogano, si confrontano sulle diverse culture e stili di vita.
Tra ironia e grottesco a confronto il senso della vita.
Per chi volesse trasformare la propria casa o altro luogo in un teatro per una notte…
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Milagros e i miracoli del teatro

Intervista a Milagros Pardo Espinosa, attrice e regista cubana

di Roberta Fonsato

Milagros Pardo Espinosa

Milagros Pardo Espinosa

Milagros è un’attrice e formatrice cubana, esperta in Teatro PlayBack, da alcuni anni vive tra l’Italia e Cuba. Quest’anno ha condotto un laboratorio teatrale per un progetto integrato, che ha previsto la partecipazione di utenti di due differenti centri riabilitativi­ residenziali della provincia di Macerata. Come prima esperienza con utenti diversamente abili, Milagros ha raggiunto un “sogno“ che da tempo perseguiva, quello di mettre in pratica le tecniche del suo Teatro PlayBack, in contesti “altri”, già memore dell’effetto dirompente e altamente sociale“ del teatro callejero (di strada) per le strade della sua amata Habana. Ora quà tra le assolate colline della bellissima campagna marchigiana, Milagros mette in scena il suo sogno e sperimenta gli effetti sempre miracolosi dell’arte teatrale. Di seguito la sua intervista, rilasciata tra un passo di salsa e un ricordo caraibico. Grazie Milagros, suerte!!!

Come l’improvvizazione teatrale si inserisce nel tuo lavoro con il gruppo?
Il lavoro svolto con il gruppo non era propriamente d’improvvizazione, era la mia prima esperienza con un gruppo di persone con abilità diverse ed è venuto come intuizione molto forte quella di inserirla in modo particolare nell’allenamento e nel lavoro previo, per sviluppare il tema centrale dell’opera e portarla alla dimensione delle loro vite. Ho vissuto con il gruppo improvvisazioni molto autentiche e ho vissuto ancora con più autenticità il rapporto con loro, sia da un punto di vista professionale che personale. Lavorare con loro è una continua improvvisazione che a volte gratifica, a volte senti che la sfida è tanta.

Come è stato lavorare con il playback in un gruppo di utenti con disabilità?
mila 1Sempre ho desiderato lavorare con il Teatro Playback e gruppi di utenti con disabilità, dove il suo carattere terapeutico intrinseco possa essere evidente, possa essere considerato e sempre più utilizzato come uno strumento potente per sviluppare programmi riabilitativi. Come ho detto prima, con questo gruppo il lavoro non era solamente di Playback. Sono molto soddisfatta di quello che ho vissuto; la condivisione e la rappresentazione dei loro sentimenti secondo i dettami del Playback diventava sempre più necessaria, costituiva per loro un incredibile modo di superare qualche paura. In questo modo hanno potuto constatare le loro possibilità infinite, contribuire alle loro scoperte personali e gruppali, e incredibilmente la loro concentrazione nel lavoro, che si svolgeva, era sempre meglio dopo che facevano il Playback. Aggiungo che svolgere il lavoro del teatro Playback mi ha insegnato a non avere paura di fare qualsiasi esercizio con un gruppo X, includere, non sottovalutare mai è stata una delle esperienze più grandi con loro. Presentargli esercizi di grande coordinazione, sviluppo della memoria, creatività, velocità, improvvisazione corporea, rispettando i loro tempi e possibilità, è stata senza dubbio una crescita non aspettata e una gioia vissuta in comune. La allegria, di riuscire a fare questi esercizi non semplici e di tanta attenzione (che all’inizio non pensavano di poter fare) sarà sempre un indimenticabile risultato raggiunto per tutti noi. Ho constatato ancora una volta in più, che il lavoro con il corpo è uno strumento più che potente, non solo per un processo riabilitativo, ma per qualsiasi lavoro di crescita e che i tempi per raggiungere questa crescita, in questo modo sono sempre più brevi.

Pensi che il teatro abbia un ruolo importante in un programa riabilitativo e di interazione?
Senza dubbio. C’è qualcuno che ha il dubbio ancora o che non gli conviene rendersene conto?

Come regista da un punto di vista tecnico come reputi il lavoro svolto?
Ci sono tante categorie per classificare un lavoro tecnico svolto, esempio, 5, eccellente, 10, massimo ecc, ma nelle loro parole alla fine del laboratorio mi sono resa conto veramente del lavoro tecnicamente svolto e credo che tecnicamente non ci siano categorie per questo. Ma se dovessi dare un voto, darei: 10 +.  Approfitto per ringraziare tutte le persone con le quali ho condiviso il lavoro. Grazie Mille per l’opportunità e per la fiducia.

Hai trovato differenza tra il lavoro teatrale a Cuba e in Italia?
No potrei definire una differenza per più di una ragione. I gruppi con i quali ho lavorato sono molto diversi per ciò che riguarda: età, sesso, culture diverse, capacità e diversa abilità etc. Per la mia esperienza ogni gruppo ha il suo tempo, le sue proprie sfide, il percorso sempre è diverso, ma la risposta sempre è estremamente meravigliosa, senza parole, il processo di trasformazione è inevitabile Il processo di trasformazione non ha tempi, può essere più lento, più veloce, è un tutto con la vita. Ma in ogni luogo, dove ho svolto questo lavoro, sempre alla fine ognuno ha una liberazione, che esprime attraverso la gioia, che si porta dietro con sè e segue nel suo processo di trasformazione e crescita, anche se non praticano più il Playback. Definitivamente la filosofia del Playback diventa parte della vita di chi lo ha conosciuto.

Se dovessi in una metafora definire questa esperienza?
Del Tao mi piace molto….. Pare piccolo ma è grande! La mia personale metafora: Bisogna solo svegliarsi!

 

P1730602Milagros Pardo Espinosa attrice e conduttrice di Teatro PlayBack (TP) a Cuba, in diversi ambiti (giovani, adulti e bambini), seguendo sempre una linea di trasformazione personale e sociale. Ha una formazione diretta con il fondatore del TP, Jonathan Fox, oltre che con il Teatro spontaneo e l’improvvisazione. Ha condotto laboratori all’estero: Olanda e Italia e ha all’attivo numerose partecipazioni a eventi nazionali ed internazionali. Coordinatrice generale della Giornata Internazionale di TP a L’Habana (2010­2011) e della Compagnia Teatro Cuerpo Adentro per cinque anni. Info: wuweicentro@gmail.com

Marco Capellacci. il regista che sente con il cuore

Marco Capellacci

Marco Capellacci

di Roberta Fonsato

Impossibile non rimanere contagiati dal sorriso e dall’entusiasmo dinamico di Marco Capellacci, giovane illustratore e regista urbinate, impossibile non cogliere la sua sensibilità atipica, sicuramente tipica però di chi ha dovuto e deve convivere con una disabilità. Audioleso dall’età di cinque anni, per la somministrazione di una farmaco sbagliato, Marco, grazie ad una metodologia sperimentale di Massimo del Bo, al sostegno della sua famiglia e soprattutto alla sua forza è riuscito a compensare molto bene la sua profonda sordità bilaterale, a cui si rivolge anche con “ironia”. Marco è protagonista di svariate mostre collettive e personali e si è distino in  pubblicazioni e proiezioni in molteplici rassegne.

Il suo straordinario film d’autore “Le Fobie del guard rail” è stato proiettato nell’ambito di festival di cinema di tutto il mondo, come in Francia, Australia, Croazia, Estonia, Malaysia, Turchia, Slovenia, Bulgaria, Austria, Germani, Inghilterra, Stati Uniti, Italia (tra cui il Museo del Cinema di Torino). I frames sono stati pubblicizzati su D-La Repubblica, Rolling Stone magazine, Tutto Digitale, L’Espresso, Domus e Repubblica XI, British Animation Award. È stato premiato come miglior film italiano nell’ambito del IX Festival Internazionale di Cortometraggi, Documentari, Sceneggiature “Lago Film Fest” 2012. L’universo artistico di Marco e la sua poetica si distinguono per la sottile introspezione e la capacità di trattare temi “disabili” con una abilità non comune. [youtube width=”600″ height=”338″]https://www.youtube.com/watch?v=MvnAVnlZwL4[/youtube]

Marco, com’è nata la tua passione per l’animazione?
“Dal bisogno interiore di raccontare le memorie delle persone, che ho conosciuto nella mia vita: gente comune con storie, le quali vale la pena di raccontare. Certo, potevo scegliere di raccontarlo con una graphic novel, ma l’animazione mi permetteva di essere disciplinato disegnando, in maniera metodica, centinaia di fogli a mano. Mi permetteva di essere un matematico del movimento. Le trincee narrative sulla carta sono diventate trincee cinematografiche, sporche di grafite, matita e cenere delle sigarette. È nata anche dal pensiero che mi sarebbe piaciuto vedere un mio disegno animato e che mimetica avrebbe avuto, in un cortometraggio d’animazione. Avrai notato, che molti illustratori al termine di una loro illustrazione, dicono, che non gli sembra “ compiuta “ l’opera. Con alcuni lavori mi è capitato e ho cercato di togliere questa sgradevole sensazione passando oltre :
animando. E ha funzionato. Ho incominciato ad animare, cercando di creare trincee narrative attraverso una serie di illustrazioni di forte realismo pittorico. Sono quadri incorniciati di piccole dimensioni, che rappresentano tematiche crude.
Disegnando, ho rischiato di raccontare l’indicibile, che implica un alto tasso di margine di rischio di errare. Io parlo dell’errare seguendo un percorso di serendipità, dove si cerca una cosa e se ne trova un’altra. Ho sempre avuto la passione dei documentari che parlano della memoria delle persone.
Cosi’ è nato il mio primo corto d’animazione : le fobie del guard rail”
Le fobie del guardrail by Marco Cappellacci

Le fobie del guardrail by Marco Cappellacci

 

Guardando i tuoi corti mi arriva un’immagine della corporeità molto incisiva, quanto nella tua poetica incide la visione del corpo, come lo vedi questo corpo?
“Pieno di sfumature da raccontare. Ho raccontato la mia sordità, senza veli e censura popolare, intrecciandola ad altre storie vere: un semplice movimento della protesi acustica, per poi registrare il fischio reale della protesi stessa in fase post produzione e ho voluto usare una persona reale, poi morta di anoressia ( la donna con il guanto che osserva il guardrail ). Ci sono persone che non vanno ai centri commerciali, all’ufficio postale, al comune, che sono sole, come i clochard che ho trovato nel mio viaggio a Cannes, di cui ho raccolto alcune testimonianze, che faranno parte, del prossimo corto. La riflessione, non permette di narrare storie stupende. Perché averne paura? Affido alla creatività figurativa una funzione di studio e di conoscenza. Concentro la mia attenzione sulla espressività corporea con estrema libertà artistica, per giungere al fine reale di immediata comunicazione: raccontare le storie di persone indifese che necessitano di una voce.”

Cosa pensi dell’arte e la diversa abilità? “L’arte non deve essere sorda all’arte. Nello sport, i diversamente abili  sono valorizzati , mentre in quello dell’arte c’è molto silenzio. Essere diversamente abili è uno svantaggio, perché esistono pregiudizi ancora nel 2015. Diresti di chiamare al telefono a una persona che non sente? Oppure di camminare a un paraplegico ? O di vedere a un cieco? Certo che no. Chi è diversamente abile, se sceglie una strada di studio, è consapevole dei grandi sacrifici che deve affrontare. Ciò significa che è costretto a tirare fuori strumenti narrativi o performativi non tradizionali, privi di ogni processo di decontaminazione. E’ obbligato a trovare semi esotici rari per far fiorire bellissime piante.”

Se dovessi fermare con un un frame l’idea dell’arte, che immagine avrebbe?
“L’immagine della cravatta del film ” Le fobie del guard rail “, dove il ragazzo mangia la cravatta. L’idea dell’arte che traspare da questo frame, quasi a dire che l’arte è un affascinante e intricato linguaggio, sfuggito all’omologazione tradizionale dell’arte stessa, rappresenta uno spazio, in cui riaffermare il proprio amore verso la vita.”

Il tuo stile sembra sottendere nella sua apparente sobrietà un sentire molto introspettivo, quanto e come la tua introspezione influisce sul tuo tratto?
“Il mio stile artistico diventa di fatto una riflessione sul proprio essere nella realtà e nella società contemporanea. Non sono mai riuscito a trovare una tecnica razionale per spiegare i miei paradossi . Devo sentire qualcosa dentro che smuove gli oceani, per poter disegnare un semplice turbamento emotivo o la sfera dei sentimenti, delle proprie affettività, delle emozioni ed altro ancora. Devo ascoltare la mia interiorità.
Gli artisti, come i bambini attraverso i percorsi visivi dello sguardo, riescono a catturare e plasmare quei ricordi che gli adulti hanno rinnegato crescendo”
Cos’è per te il silenzio
“Il silenzio è quando tolgo le protesi. Ogni rumore cessa di esistere. Sono da solo, con me stesso.”
Ringrazio Marco per il suo entusiasmo e disponibilità, dandogli un appuntamento alla prossima intervista!!!